Può destare meraviglia ed interrogativi che un campo così universale ed essenziale per la vita dell’uomo, come quello del lavoro, studiato da una specifica Psicologia del lavoro sia così raramente confrontata con il mondo della religione e con la Psicologia della religione. Eppure è così. Se ne è avuta una prova anche al recente congresso della IAPR- Interational Association for Psychology of Religion tenutosi a Danzica in agosto 2019 che aveva per titolo, Psychology of Religion and Spirituality: New Trends and Neglected Themes. Nonostante qualche timido accenno in forma di Symposium, il tema dei rapporti psicologici tra religione e lavoro appare “negletto” tra gli psicologi della religione.
Si tratta di una questione che da diversi anni occupa una parte notevole del dibattito interno alle scienze sociali che si occupano della religione, in parte contribuendo a complicare ulteriormente la riflessione, poiché le diverse discipline (filosofia della religione, antropologia e storia delle religioni, sociologia e psicologia) attribuiscono all’idea di spiritualità una pluralità di significati non facilmente determinabile in modo univoco e comprensivo.
La psychologie de la religion est l’étude de ce qu’il y a de psychique dans la religion. Elle cherche à rendre compte des procès psychiques sous-entendus dans le “dire Dieu” de la part de l’individu et des groupes sociaux. La psychologie, science empirique, prend comme objet un phénomène concret, observable : cet homme-ci qui, dans ce contexte culturel, se mesure à cette religion-là. Comment il le fait, à travers quels processus et interactions avec l’ensemble de sa personnalité, avec quels conflits et avec quels résultats : c’est là l’objet de la psychologie de la religion. À partir de ces considérations on tâche de montrer comment la perspective psychosociale et celle clinique offrent des parcours de recherche pour déconstruire des concepts, élaborer des méthodes, proposer des techniques de recherche.
“Fede è sostanza di cose sperate/et argomento delle non parventi” dice Dante citando alla lettera San Tommaso. Mille anni prima, un altro Tommaso, che si era proposto di non credere se non in quello che vedeva e toccava, si era sentito rimproverare “Beati coloro che hanno creduto, senza aver visto” (Gv. 20, 29). Eppure il credente continua a cercare “cose”, fatti, dimostrazioni visibili e materiali per giustificare e alimentare la propria fede. Questo apre una serie di interrogativi di interesse psicologico.
Superando la deriva concettuale soggiacente all’uso confusivo della parola “mistica” individuare alcune caratteristiche della mistica autentica quale può essere considerata dal punto di vista scientifico della psicologia e, insieme dalla rispondenza ad una visione religiosa o almeno di alta spiritualità.
Diversamente dalla Sociologia, che studia forme concrete di religione e il loro continuo divenire, perseguendo sempre nuove categorie interpretative e metodologie per verificarle, la psicologia della religione, orientata al funzionamento della psiche a fronte della religione, studia le strutture e i processi (le regolarità e le specificità) dell’atteggiamento della persona religiosa, assunte come sostanzialmente stabili al livello intrapsichico, del singolo soggetto, e comuni e comparabili a livello interpsichico, degli individui e dei gruppi.
Un primo interrogativo mi pare debba centrarsi sulla specificità, l’ambito e i limiti dell’approccio psicoanalitico alla religione. Sotto quale punto di vista la religione, oggetto di molteplici discipline scientifiche, si fa oggetto della psicoanalisi? E qual è il metodo che tale oggetto costituisce, quali le ipotesi e le teorie che vi sono sottese e, in un certo modo lo precostituiscono, come oggetto di indagine scientifica? È appena il caso di ricordare che l’osservazione psicologica della condotta religiosa si colloca in un’ottica fenomenica e in una posizione di agnosticismo metodologico.