A livello editoriale, il rinnovato interesse è riscontrabile dal numero di pubblicazioni che, nel titolo, accostano le parole chiave psicologia o psicoanalisi al ‘religioso’: anima, spiritualità, Chiesa, pastorale, direzione spirituale, celibato, etc. Che poi il contenuto risponda adeguatamente alle attese suscitate dal titolo è cosa non scontata. Di qui l’opportunità di una guida critica alla lettura e di una nota introduttiva. Numerosi sono i lavori che concentrano l’attenzione sulle possibilità applicative e su un uso della psicologia funzionale alla catechesi, all’educazione religiosa, o ad altri ambiti di intervento formativo rubricati sotto le diciture ‘Psicologia pastorale’, ‘Psicologia spirituale’ o simili.
Il lavoro, presentato come una ricerca interrogante e partecipe intorno al mistero “uomo” e al suo rapporto con il mistero “Dio”, si colloca in continuità con l’interesse costante mostrato dall’autore per la prospettiva dell’antropologia teologica. Il titolo esprime chiaramente la divisione in due parti del volume e preannuncia la tesi di una distinzione tra la conoscenza sull’apertura dell’uomo al divino, possibile all’antropologia filosofica, e la riflessione sull’esperienza della fede cristiana, che è basata sull’autorivelazione di Dio.
Lecuit valorizza il contributo di Vergote all’elaborazione teologica, pur senza indulgere a tentativi di piegare e ricollocare i contenuti della psicoanalisi nel disegno architettonico di una antropologia teologica già pre-costituita. Già questa attenzione mostra l’adesione dell’autore alla prospettiva epistemologica dello stesso Vergote, che tenacemente sostiene che la psicologia sarà tanto più utile alla teologia, quanto più sarà fedele ai suoi propri principi e metodi, nel cercare la verità psicologica sull’uomo; verità che, per ogni credente come per il teologo, non potrà risultare in contraddizione con la verità sull’uomo rivelata da Dio. L’apporto di Vergote alla teologia consiste principalmente nella ricerca dell’intelligenza della fede sostenuta da un’antropologia filosofica e teologica, illuminate dall’esperienza psicoanalitica.
La correlazione tra neuropsicologia ed esperienza religiosa è argomento quanto mai attuale. Dalla lettura complessiva si comprende innanzitutto come la psicologia della religione debba oggi confrontarsi con due nuove prospettive: la psicologia culturale e la neurobiologia. In proposito non si fa fatica a condividere che, per una migliore comprensione del vissuto psichico verso la religione, conviene non giustapporre le due prospettive, ma integrarle. Chiarito che non ha senso voler dimostrare la esistenza o non esistenza di Dio fondandosi sulla neurobiologia, non c’è dubbio sulla rilevanza del vissuto religioso nella personalità individuale, così come sulla sua complessità. E allora uno studio che rispetti la complessità dell’atteggiamento religioso deve tener conto – come un insieme integrato – dei dati neurobiologici, del contesto culturale, della storia personale.
Negli ultimi anni i temi e le pubblicazioni di psicologia della religione hanno conosciuto un incremento di interesse, parallelo a quello suscitato, più in generale, dai temi “religiosi”. Le virgolette sono necessarie, a dire delle ambivalenze che possono essere connesse al termine, nell’uso comune e nell’utilizzo da parte dei mezzi di comunicazione di massa, i cui interessi non sempre coincidono con i criteri della serietà dell’indagine e del valore della pubblicazione; criteri cui invece si ispira la selezione operata in questa rassegna.
“è un libro controcorrente, perché punto di arrivo e testimonianza del percorso di ricerca e di riflessione e, insieme, dell’assunzione di un impegno etico-sociale da parte della comunità degli psicologi”; ed è “un libro innovativo. Per la prima volta i temi dell’identità religiosa e delle sue alienazioni e derive, del pluralismo religioso e del fondamentalismo, dell’integralismo, e finanche del terrorismo, sono studiati in maniera organica in prospettiva psicologica”.
“Ci si interroga sulle valenze cliniche di strutturazione e ristrutturazione (ma anche di destrutturazione) della personalità con cui la religione può emergere nel corso del trattamento psicoanalitico. […]. La domanda, per essere psicoanaliticamente corretta, va posta nella prospettiva del soggetto: non se Dio aiuta, ma se il credere in Dio aiuta. In questi termini, la questione si fa rilevante, così riportando il vissuto religioso alle sue valenze psichiche nella costruzione della personalità del soggetto”.
I curatori del volume – che sono stati anche tra i promotori del Convegno – Mario Aletti (Presidente della Società Italiana di Psicologia della Religione) e Fabio De Nardi (Direttore dell’Ospedale “Villa Santa Giuliana” di Verona) – sono riusciti a richiamare personalità di grande levatura nel panorama della psicoanalisi post-freudiana, sia italiano che internazionale, che si sono confrontati con teologi e filosofi in un dibattito di vasta portata e respiro. Questo confronto recupera, come ha ricordato Aletti nella Presentazione, “un ritardo che pare non solo culturale in senso stretto ma anche di costume… Che degli psicoanalisti si interroghino, da e in quanto psicoanalisti e nella prospettiva della psicoanalisi, sulla religione è il fatto nuovo, che rompe con abiti mentali e rigidità istituzionali”.
Massimo Diana ci offre un lavoro, voluminoso ma accessibile alla lettura e attento a rendersi comprensibile, che presenta lo sviluppo del pensiero di Drewermann senza lasciar mancare un costante contrappunto critico. Il testo è opportunamente introdotto da Mario Aletti che, a partire da un punto di vista psicoanalitico, coglie gli spunti e i nodi problematici dell’opera di Drewermann consegnandola alla riflessione psicoanalitica, teologica e pastorale e auspicando che la conoscenza dell’uomo possa essere approfondita a partire dalle buone domande che qui sono poste.
L’ambito delle pubblicazioni di psicologia della religione conosce, finalmente anche in Italia, un periodo estremamente interessante e vivace, con un allargamento delle tematiche ed un approfondimento dello spessore dei contributi, che trova positivi riscontri anche nell’interesse dei lettori. L’attuale psicologia della religione, individuando un proprio ambito epistemologico, ugualmente distante dal riduzionismo psicologistico e da tendenze pseudo-apologetiche, si è affermata come quel ramo della scienza psicologica che studia, con metodi e strumenti psicologici, ciò che di psichico vi è nella religione: strutture, fattori, dinamismi, processi e conflitti psichici, consci ed inconsci, attraverso i quali l’uomo giunge ad un atteggiamento personale verso la religione (non solo nel senso dell’adesione di fede, ma anche, eventualmente, della negazione e del rifiuto).