In recent years post-Freudian psychoanalysis has shifted its focus of interest from the origins of religion as a cultural phenomenon to a concentration on personal religion in the case-history of the individual. This change becomes evident when one analyzes the most recent contributions from psychoanalysts of different schools. The idea that psychoanalysis of religion can be fruitful only when it refers to a personal developmental path has gained increasing acceptance. The first benefit of this change is the possibility it allows for circumventing all arguments about the truth value of religious beliefs. To achieve this aim, many authors adopt the notion of the “illusory transitional phenomenon” introduced by Donald W.Winnicott.
Se la teoria dell’attaccamento è relativamente recente, fatto ancora più recente è l’applicazione dei suoi modelli alla religione, i cui fautori principali sono certamente Lee A. Kirkpatrick e Pehr Granqvist. Io qui vorrei limitarmi a confrontare i rapporti tra teoria dell’attaccamento e psicoanalisi per quel che riguarda l’approccio psicologico alla religione. La mia tesi di fondo è che i due approcci, quello psicoanalitico e quello della teoria dell’attaccamento, in quanto focalizzati su due aspetti diversi del complesso fenomeno umano della religiosità
potrebbero coesistere e fornire specifici contributi, purché sappiano astenersi dal ridurre l’uno all’altro approccio e metodologia. Cercherò di argomentare che: l’attaccamento è (solo) un aspetto della relazione interpersonale con il “caregiver”; la complessità dell’atteggiamento dell’individuo verso la religione non è riducibile, né spiegabile, con le modalità predittive dell’attaccamento; esiste una differenza metodologica ineliminabile tra psicoanalisi e teoria dell’attaccamento.