Starting from the legacy of Lou Andreas Salomé and Donald Winnicott, this contribution aims to overcome the problem of the truth of theological affirmations (“beliefs”) maintaining that the psychological value of religion is just in “believing”. Lou Andreas Salomé thought that narcissism is an early experience of “oneness with the universe”. According to her, man tries all his life, to regain such a state of well-being via creative experiences such as art, love, and religion. As far as religion is concerned, Salomé articulates a clear distinction between a “creative” and a “sedentary” believer, since the “creative” believer – in a certain way – calls into being his God. Winnicott considers religion of the individual to be an illusory transitional phenomenon; as a child with his mother, a believer creates the God he finds. The contribution focus on the theoretical paths opened by Salomé and Winnicott. Since Salomé’s “creative” believer’s religious faith encompasses doubt and Winnicott states that, in conclusion, the psychological value of believing is “believing in anything at all”, believers and psychologists of religion become aware of the never ending metaphoricity of religious language and, consequently, of the necessity of religious pluralism.
Muovendo dalle prospettive aperte da Lou Andreas Salomé e Donald Winnicott, questo contributo propone di superare il problema della verità delle affermazioni teologiche (le credenze) mostrando che, in realtà la valenza psicologica della religione consiste proprio nel “credere”. Lou Andreas Salomé considera il narcisismo come un’esperienza originaria di fusione con il tutto. L’individuo per tutta la vita tenderebbe a ricostituire quello stato di benessere attraverso esperienze pregnanti, quali l’amore, l’arte, la religione. In Salomé il credente “creativo” si distanzia dal “sedentario” in quanto crea, ed in un certo modo pone in essere, il suo Dio. Con Winnicott possiamo considerare la religiosità un fenomeno transizionale illusorio, se liberata dai residui dell’onnipotenza allucinatoria infantile. Come il bambino con la propria madre, anche il credente crea il Dio che trova. Si evidenzierà il guadagno teorico desumibile da questi autori. Se per il credente “creativo” di Salomé, la fede racchiude in se stessa il dubbio e la nostalgia delle origini, e se, per Winnicott, in ultima analisi la valenza psicologica della fede sta tutta nel crederci, il credente, non meno che lo psicologo della religione, è orientato alla consapevolezza della metaforicità sempre insatura del discorso religioso e, per conseguenza, anche al pluralismo religioso.
L’opera di Ana-María Rizzuto è di rilievo decisivo per la psicologia della religione, sia per i risultati raggiunti che per la metodologia proposta: è un punto di svolta del contributo della psicoanalisi a una migliore comprensione dell’atteggiamento non solo del credente, ma anche del non credente. Tra i risultati principali offerti dalla Rizzuto, vengono sottolineate sia l’evidenziazione dei tratti inconsci della rappresentazione mentale, inclusa la rappresentazione di Dio, sia l’indicazione delle relazioni tra la rappresentazione di Dio principalmente inconscia o pre-conscia e l’atteggiamento personale verso Dio. Questo articolo si propone di illustrare alcuni minori punti critici, riferiti al concetto di ‘rappresentazione inconscia di Dio’ e propone una via percorribile per evitare le ambiguità della formulazione.
L’autore richiama il fatto che alcuni recenti contributi di psicoanalisti di diverse scuole postfreudiane hanno spostato l’attenzione dalla questione dell’origine della religione come fenomeno storico-culturale al tema, più propriamente psicoanalitico, dell’atteggiamento personale verso la religione, quale è dato osservare nelle storie di casi clinici. Il principale guadagno di questa modifica è la possibilità di aggirare le dispute e le argomentazioni sul valore di verità delle credenze religiose. In vista di ciò l’autore, come molti altri, adotta il modello di “fenomeno transizionale illusorio”, introdotto da Donald W. Winnicott. Mentre sottolinea l’importanza di questo concetto, ne approfondisce le ricadute positive e ne denuncia alcuni usi impropri. Con riferimento alla tendenza di alcuni autori a perseguire l’interazione della psicoanalisi con le neuroscienze, con la psicologia culturale e con la teoria dell’attaccamento, viene posta in discussione la promessa di questi tentativi circa la possibilità di una comprensione profonda della religiosità dei singoli individui. Infine l’autore critica il concetto e la stessa dicitura di “psicoanalisi della religione”, proponendo la sua opinione in merito alla questione della verità della religione alla luce della psicoanalisi.
Due maestri (Freud e San Tommaso), a distanza di alcuni secoli, e di molti progressi delle scienze umane, per vie e percorsi di studio ben diversi, vengono a concludere che è estremamente difficile dire che cosa sia l’anima, o che cosa sia l’essenza dello psichico. L’anima e la psiche le vediamo all’opera, ne conosciamo alcuni funzionamenti e processi; ma della loro essenza, sappiamo poco, o nulla. E tuttavia, nella misura in cui consideriamo che l’anima (la psiche) sia qualcosa di centrale e di letteralmente fondamentale della nostra persona, l’insufficienza delle nostre conoscenze ci inquieta e stimola ad un approfondimento.
The hermeneutical model of illusion, just as that of projection, has always been part of the psychoanalytic views of religion. The article presents a brief critical summary of this subject, and underlines that in relational psychoanalysis, the concept of illusion refers not to religion as such, but to the subjective experiences of desire and relatedness, that is, the source of the desire for God in man. Because of personal conflicts and their outcome, besides illusions one encounters also in such experiences, disillusion, disappointment, and even delusion.
A Donald Wood Winnicott piaceva insegnare dialogando, che si trattasse di allievi delle scuole per infermieri o dei colleghi della Società Psicoanalitica Britannica. Perché per lui insegnare era un’occasione per approfondire, ma anche per chiarire a se stesso, mentre cercava di render chiaro per gli altri. Come a lezione con gli allievi, così nelle sedute coi pazienti o nel disegnare scarabocchi con un bambino, l’atteggiamento di Winnicott era quello di chi vuole veramente, semplicemente, imparare. Ogni incontro diventava così uno “spazio potenziale” dove coniugare l’apprendimento e la creatività. E il gioco. Il gioco non serve solo a comunicare, serve a. . . giocare.
«La psicoanalisi in se stessa non è né religiosa né irreligiosa, bensì uno strumento imparziale, di cui può servirsi sia il religioso che il laico, purché venga usato unicamente per liberare l’uomo dalle sofferenze. Sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che non avevo pensato all’aiuto straordinario che il metodo psicoanalitico può fornire alla cura delle anime, ma questo è certo successo perché un malvagio eretico come me è troppo lontano da questa sfera di idee» (Carteggio col Pastore Pfister).
Il modello dei fenomeni transizionali e dei processi di illusione fornisce interessanti punti di vista per lo studio dell’esperienza religiosa e, in genere, del vissuto religioso. Permette di cogliere la vitalità psicologica dell’esperienza religiosa e il suo potenziale trasformativo per la personalità. Reciprocamente, può individuare modalità de-viate e per-verse (ad esempio, autistiche o feticistiche) di strutturazione ed evoluzione della medesima esperienza; oppure avviare adattamenti creativi e innovativi, rispetto al sistema simbolico religioso istituzionale.
Nel titolo, l’“incredibile” esprime la meraviglia: non ci si crede, non ci si crederebbe, a tanto bisogno di credere in ogni uomo. Si parla spesso, oggi, di bisogno di credere, di ritorno della religione, ma anche di religione senza Dio, di spiritualità dell’ateo… Propongo una mia lettura, che accentua le dimensioni profonde ed inconsce del bisogno di credere nell’uomo, un approccio alla questione, che lasci la possibilità di esplorare ed arricchire ulteriormente la riflessione personale: riconoscere e ascoltare in noi stessi il bisogno di credere.