Le nuove forme della spiritualità e i nuovi movimenti religiosi esprimono un desiderio di libertà dalle istituzioni religiose che, a volte, esitano nella costituzione di gruppi con caratteristiche settarie e patologiche. Ci si pone il problema della comprensione a livello psicologico dei bisogni e quindi delle dinamiche espresse dai N.M.R. (Nuovi Movimenti Religiosi).
La religione è a volte vissuta come fonte di benessere psicologico, ma altre volte può essere esito, o anche causa, di formazioni psicopatologiche.
Lo psicoterapeuta, medico della psiche, non medico dell’anima, si trova frequentemente nella necessità di discriminare tra l’ambito psicologico e quello spirituale. Gli interrogativi si pongono spesso fin dal primo colloquio, nel discernimento diagnostico, nella individuazione del disturbo clinico, nella decisione se sia opportuno l’intervento terapeutico, e quale debba essere il fine della terapia stessa.
Trascrizione pressoché letterale delle confidenze di una infermiera, nei giorni drammatici dello scoppio della pandemia. Una notte si trova sola, nel reparto di terapia intensiva. Tutto è cambiato in due giorni: non più i “suoi” soliti postchirurgici cardiologici. Tutti i letti sono occupati dai malati di Covid-19. Solitudine. Morte. Solidarietà. Preghiera.
Sommario: 1. Cenni autobiografici; 2. Silenzio o dialogo in analisi?; 3. L’analisi come luogo di relazionalità e narratività; 4. . Domanda preliminare in un percorso analitico aperto alla dimensione religiosa; 5. Dove si situa il religioso all’interno della mente dell’uomo?; 6. Psicologia culturale della religione. Il contesto odierno; 7. I Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità; 8. Arretramento o eclissi dell’interesse religioso?; 9. Conversioni e riconversioni; 10. Considerazioni a partire dalla clinica; 11. Riferimenti bibliografici.
Quando io nel mio lavoro giornaliero quale psicoterapeuta ascolto i miei pazienti, sofferenti di tante sindromi psichiatriche, ma in tutti i casi di pene da loro non sopportabili, di conflitti per loro insolubili, di difficoltà esistenziali di ogni genere da loro non affrontabili, io non penso ad altro che al loro singolo dolore e al modo di comprenderlo. La mia attenzione al singolo è tale, da non permettermi né di prendere appunti di quanto ascolto, o delle mie riflessioni al riguardo, né tanto meno di pensare a me distraendomi dal paziente. L’unico modo di pensare a me è solo quello di riflettere sul mio controtransfert. Anche gli intervalli fra una seduta e l’altra, dedicati al rilasciamento, al cancellare temporaneamente i ricordi della seduta passata onde essere totalmente disponibile per la prossima, non mi lasciano il tempo per riflessioni generali.
In this paper, using my clinical experiences as a basis, I wish to highlight the idea that the relationship that exists between religion and a person’s mental health is not something that is predetermined, nor can it be predicted either in terms of coping, or in terms of psychopathology itself. Furthermore, I do not believe it is at all possible to determine whether or not an existing religious representation can be “healthy” or “unhealthy”, nor is it possible to define the characteristics that make a religion beneficial or pathological. I think that from a psychologist’s point of view, asking the question Is religion good for your health? in such an extreme and abstract manner is pointless and does not make sense.