L’individuo, sottratto con la nascita alla beatitudine dell’indistinzione corporeo-psichica è segnato da questa perdita e indotto alla progressiva separazione, distinzione, differenziazione. Per tutta la vita tenderebbe a riavvicinarsi al Paradiso perduto attraverso esperienze pregnanti quali l’erotismo, l’arte e la religione che, tutte, liberano nell’individuo le potenzialità dell’inconscio, della fantasia e della creatività, attirandolo verso l’Oltre, meta mai raggiunta del desiderio.
A Donald Wood Winnicott piaceva insegnare dialogando, che si trattasse di allievi delle scuole per infermieri o dei colleghi della Società Psicoanalitica Britannica. Perché per lui insegnare era un’occasione per approfondire, ma anche per chiarire a se stesso, mentre cercava di render chiaro per gli altri. Come a lezione con gli allievi, così nelle sedute coi pazienti o nel disegnare scarabocchi con un bambino, l’atteggiamento di Winnicott era quello di chi vuole veramente, semplicemente, imparare. Ogni incontro diventava così uno “spazio potenziale” dove coniugare l’apprendimento e la creatività. E il gioco. Il gioco non serve solo a comunicare, serve a. . . giocare.
Nell’esperienza dell’individuo, l’identità di genere non è un dato, ma un costrutto, risultante dai processi interattivi di transazione e negoziazione tra organismo psico-biologico e rappresentazioni e pratiche sociali che, in maniera storicamente e culturalmente determinata, organizzano, facilitano e normano le vie dell’appagamento sessuale. Ma questa identità di genere non può costituirsi per il soggetto, costruirsi, manifestarsi e comprendersi che all’interno della identità personale e quindi nell’orizzonte dei processi psicodinamici e relazionali entro cui l’identità si struttura.
Il credente (in questo distanziandosi dall’idolatra) sa che il linguaggio religioso è linguaggio metaforico, che allude e rimanda ad un Altro indicibile; visione per speculum et in aenigmate, parola in bilico sui versanti dell’umano e del divino, parola che invoca il trascendente, piuttosto che celebrarne l’acquisizione e il possesso. Per parte sua, lo psicoanalista sa che la “talking cure” suppone, nel paziente non meno che nell’analista, una parola che va sempre “oltre”. L’interpretazione, ad esempio, coglie il non detto del detto; apre ad un contenuto altro e nuovo rispetto a ciò che è intenzionalmente espresso, assumendolo come contenitore, come metafora…