Lo psicologo è interessato a cogliere, nella pluralità dei fondamentalismi, la manifestazione storico-culturale di un atteggiamento psicologico fondamentalista. La povertà di modelli psicologici del fondamentalismo consegue alla difficoltà di una definizione che non può darsi che per rapporto ad un “non-fondamentalismo”: ad esempio nella strutturazione dell’identità religiosa, nell’accettazione del pluralismo. Si evidenzia la necessità di modelli veramente psicologici, genetico-strutturali, ed adeguatamente validati, che colgano l’intenzionalità (consapevole o inconscia) dell’atteggiamento fondamentalista, riferendolo ad una teoria complessiva della personalità. A mero titolo esemplificativo, si farà riferimento a quel modello psicodinamico che, rifacendosi a Winnicott, vede la religione come fenomeno transizionale ed indica il fondamentalismo come una deriva, di volta in volta, feticistica o autistica. In una prospettiva psicosociale, si propone il modello dell’Autoreferenzialità acritica, applicabile sia al fondamentalismo scritturale, racchiuso in una dinamica di testualità-intratestualità (il testo sacro contiene tanto la rivelazione quanto la sua interpretazione), sia all’assolutizzazione dell’esperienza come criterio “intratestuale” della verità del discorso religioso del proprio gruppo di appartenenza.
In this paper, using my clinical experiences as a basis, I wish to highlight the idea that the relationship that exists between religion and a person’s mental health is not something that is predetermined, nor can it be predicted either in terms of coping, or in terms of psychopathology itself. Furthermore, I do not believe it is at all possible to determine whether or not an existing religious representation can be “healthy” or “unhealthy”, nor is it possible to define the characteristics that make a religion beneficial or pathological. I think that from a psychologist’s point of view, asking the question Is religion good for your health? in such an extreme and abstract manner is pointless and does not make sense.
Nell’esperienza dell’individuo, l’identità di genere non è un dato, ma un costrutto, risultante dai processi interattivi di transazione e negoziazione tra organismo psico-biologico e rappresentazioni e pratiche sociali che, in maniera storicamente e culturalmente determinata, organizzano, facilitano e normano le vie dell’appagamento sessuale. Ma questa identità di genere non può costituirsi per il soggetto, costruirsi, manifestarsi e comprendersi che all’interno della identità personale e quindi nell’orizzonte dei processi psicodinamici e relazionali entro cui l’identità si struttura.
Secondo Pohier, se la teologia, scienza della fede che vuole comprendere se stessa, intende veramente essere al servizio dei credenti, come singoli e come comunità, non può rimanere estranea al tentativo degli uomini di definire la propria esperienza e conoscenza di se stessi e del proprio mondo. Diventa sempre più attuale, per la teologia, la necessità di individuare il “senso” del messaggio evangelico per l’uomo di oggi. E la psicologia e la psicoanalisi, in quanto luoghi in cui si elabora il “senso” che hanno le condotte umane, possono apportare a questa ricerca decisivi contributi.
Il credente (in questo distanziandosi dall’idolatra) sa che il linguaggio religioso è linguaggio metaforico, che allude e rimanda ad un Altro indicibile; visione per speculum et in aenigmate, parola in bilico sui versanti dell’umano e del divino, parola che invoca il trascendente, piuttosto che celebrarne l’acquisizione e il possesso. Per parte sua, lo psicoanalista sa che la “talking cure” suppone, nel paziente non meno che nell’analista, una parola che va sempre “oltre”. L’interpretazione, ad esempio, coglie il non detto del detto; apre ad un contenuto altro e nuovo rispetto a ciò che è intenzionalmente espresso, assumendolo come contenitore, come metafora…
Quando il fedele confessa il suo peccato, o dice di essere un peccatore, che cosa, propriamente, dice? Come interpretare la parola formulata nel contesto relazionale che si instaura tra il penitente e l’altro (sacerdote, Chiesa, Dio)?
I have been studying religiuos experience and conceptualisation of God in Italian teenagers for more than twenty years. I have interviewed more than 5000 subjects (aged 14-20), all of them Catholics who have received formal religious teaching at school. Using a variety of instruments, though chiefly cluster analysis of the results of a word association test, I have been able to identify five differents ways of conceptualising and structuring awareness of God in Italian adoliscents.
Un primo interrogativo mi pare debba centrarsi sulla specificità, l’ambito e i limiti dell’approccio psicoanalitico alla religione. Sotto quale punto di vista la religione, oggetto di molteplici discipline scientifiche, si fa oggetto della psicoanalisi? E qual è il metodo che tale oggetto costituisce, quali le ipotesi e le teorie che vi sono sottese e, in un certo modo lo precostituiscono, come oggetto di indagine scientifica? È appena il caso di ricordare che l’osservazione psicologica della condotta religiosa si colloca in un’ottica fenomenica e in una posizione di agnosticismo metodologico.
Siamo nel ritrovo milanese dei “Bambini di Dio, un movimento che é una delle espressioni di un certo revival religioso americano, spontaneistico e misticheggiante. In Europa si é diffuso attraverso i Paesi Anglosassoni, per l’azione di alcuni volonterosi, fervidi e miti missionari. Li puoi incontrare nelle vie delle più grandi città … considerano il “Se non ritornerete come bambini” come imperativo principale e costitutivo del seguace di Cristo.