Si tratta di una questione che da diversi anni occupa una parte notevole del dibattito interno alle scienze sociali che si occupano della religione, in parte contribuendo a complicare ulteriormente la riflessione, poiché le diverse discipline (filosofia della religione, antropologia e storia delle religioni, sociologia e psicologia) attribuiscono all’idea di spiritualità una pluralità di significati non facilmente determinabile in modo univoco e comprensivo.
Nel titolo, l’“incredibile” esprime la meraviglia: non ci si crede, non ci si crederebbe, a tanto bisogno di credere in ogni uomo. Si parla spesso, oggi, di bisogno di credere, di ritorno della religione, ma anche di religione senza Dio, di spiritualità dell’ateo… Propongo una mia lettura, che accentua le dimensioni profonde ed inconsce del bisogno di credere nell’uomo, un approccio alla questione, che lasci la possibilità di esplorare ed arricchire ulteriormente la riflessione personale: riconoscere e ascoltare in noi stessi il bisogno di credere.
Appena l’evento sale agli altari della cronaca nazionale, i diversi rappresentanti istituzionali laici si apprestano ad offrire il proprio parere sottolineando come il credo religioso non possa essere foriero di soprusi e limitazioni. Contemporaneamente, la comunità islamica sottolinea come l’imposizione di una fede religiosa non abbia alcun senso per la crescita della persona, tanto più se contrassegnata da duri comportamenti correttivi genitoriali che sfociano nel maltrattamento o nell’abuso. Da più parti poi si sottolinea anche come l’appello alla liberà e al pluralismo religioso non possa dare adito ad equivoci: la compresenza e l’accettazione di diverse tradizioni religiose non può giustificare forme di sopruso che ledono la libertà delle persone.
Quando si affronta la questione dell’educazione religiosa dei bambini alla luce del loro sviluppo psico-affettivo, è bene chiarire subito quale sia la prospettiva secondo la quale verrà sviluppato il tema: la psicologia della religione. Il compito di questa disciplina è quello di dare dei giudizi di valore psicologico.
Anzitutto cerchiamo di definire cosa s’intende per religiosità.
Da un punto di vista operazionale, è indispensabile prendere in considerazione quelli che in gergo accademico sono definiti “correlati psicologici” del fondamentalismo religioso. I correlati del fondamentalismo rappresentano tutte quelle dimensioni psicologiche associate al fondamentalismo religioso, di cui si possiedono dati empirici a sostegno di tale associazione. Quanto più il loro legame è accessibile alla conoscenza, tanto più la variabile oggetto dell’indagine (nel nostro caso il fondamentalismo religioso) avrà validità e attendibilità.
Dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11/09/2001, il massacro di massa al campo dei Workers’ Youth League (AUF) del partito laburista del 2011, il termine fondamentalismo è stato usato estensivamente in maniera incorretta per etichettare fenomeni socioculturali affini quali: terrorismo, integralismo ed estremismo. Il fondamentalismo religioso pertanto, è diventato l’oggetto d’interesse non solo di accademici e studiosi, ma anche di qualsiasi cittadino sensibile alle vicende storico-sociali contemporanee, conducendo inevitabilmente alla diffusione di definizioni erronee e/o incorrette del fenomeno.
Nel rito religioso, la partecipazione (cioè il “prender parte”) del credente, suppone la capacità creativa e progressiva, di assimilazione e di adesione del soggetto, non meno che il radicamento nel dato biologico-socio-culturale del simbolo. Mette in gioco le dinamiche emotive interne del soggetto, la sua competenza cognitiva e la sua interazione con la cultura ambiente. La lettura psicologica deve perciò utilizzare, insieme, una prospettiva dinamica, cognitiva e sociale.
Fin dalla metà dell’800 gli studi dapprima medico-psicologici e poi psicologici in senso proprio ‘applicati’ alla storia, alla letteratura, alla mitologia, alla religione e in genere ad oggetti culturali si moltiplicano con un’urgenza di comprensione totale, se non addirittura di spiegazione scientifica, di ogni manifestazione e produzione umana… Anche l’approccio psicologico alle Confessioni segue questa evoluzione interna ed esterna, interna cioè alle discipline di provenienza e al dibattito teorico-metodologico in corso in esse ed esterna quanto alla validità, utilità e legittimità, oltre che all’apporto reale da esso dato alla comprensione sempre più profonda del testo e della figura del suo autore.
La psychologie de la religion est l’étude de ce qu’il y a de psychique dans la religion. Elle cherche à rendre compte des procès psychiques sous-entendus dans le “dire Dieu” de la part de l’individu et des groupes sociaux. La psychologie, science empirique, prend comme objet un phénomène concret, observable : cet homme-ci qui, dans ce contexte culturel, se mesure à cette religion-là. Comment il le fait, à travers quels processus et interactions avec l’ensemble de sa personnalité, avec quels conflits et avec quels résultats : c’est là l’objet de la psychologie de la religion. À partir de ces considérations on tâche de montrer comment la perspective psychosociale et celle clinique offrent des parcours de recherche pour déconstruire des concepts, élaborer des méthodes, proposer des techniques de recherche.
Vergote’s work in the psychology of religion is characterized by being both fundamental and applied, both empirical and at the same time theoretical. Vergote’s is a highly complex stand in what is classically called the issue of the relationship between faith and reason. Finally the issue with which he raised substantial attention in the last century: his controversial critique of the idea that the human being would be naturally religious, Vergote’s comment on this idea, this apriori, is remarkably short and dry: “it is just an idea”.