Some remarks about psychology of religion meant as a specific and autonomous domain are reported. The need of defining the object of investigation (religion) in a proper way and of defending the peculiarity of the approach (psychology) against the neurobiological and sociological reductionisms is stressed. The psychologist is interested not in religion itself, but in what occurs in human mind when religion is encountered within a culture (that is, religiosity). It is argued that religion is different from spirituality, search for meaning, mindfulness and so on since it is characterised by the subjective conviction to be in relation with the Transcendent. Such a conviction is expressed in beliefs, feelings, interpersonal relationships, rituals, normative behaviours. On one hand these aspects concern individual experience and, on the other hand, they are instantiated in a specific culture, with its own institutions, symbols and language, which develop in a given spatial-temporal context. This implies that a clinical and psychodynamic perspective, beside the sociocultural one, has to be taken into account. The current success of the social psychology of religion is critically examined by considering its potentialities and limits.
Questo studio affronta la questione della fiducia dei cattolici romani nella loro Chiesa dopo la crisi degli abusi sessuali. A questa domanda si risponde attraverso un sondaggio tra 131 cattolici. Si possono distinguere diverse dimensioni di fiducia: essere sconvolti dall‘abuso, accusare la Chiesa di lassismo e di negligenza, aver fiducia nei media, perdere la fiducia nella Chiesa cattolica, dubitare della propria fede e prendere le distanze dalla Chiesa. Gli intervistati esprimono critiche alla Chiesa, ma anche fedeltà. Descriviamo un modello a quattro stadi della perdita di coinvolgimento: 1) conoscenza dell’abuso; 2) critiche alla Chiesa; 3) perdita della fede e 4) erosione dei legami con la Chiesa. Nelle donne e negli intervistati che conoscono vittime di abusi, l’erosione della fiducia si verifica più frequentemente. Negli intervistati con una preparazione teologica, la perdita della fiducia è relativamente minore.
Muovendo dalle prospettive aperte da Lou Andreas Salomé e Donald Winnicott, questo contributo propone di superare il problema della verità delle affermazioni teologiche (le credenze) mostrando che, in realtà la valenza psicologica della religione consiste proprio nel “credere”. Lou Andreas Salomé considera il narcisismo come un’esperienza originaria di fusione con il tutto. L’individuo per tutta la vita tenderebbe a ricostituire quello stato di benessere attraverso esperienze pregnanti, quali l’amore, l’arte, la religione. In Salomé il credente “creativo” si distanzia dal “sedentario” in quanto crea, ed in un certo modo pone in essere, il suo Dio. Con Winnicott possiamo considerare la religiosità un fenomeno transizionale illusorio, se liberata dai residui dell’onnipotenza allucinatoria infantile. Come il bambino con la propria madre, anche il credente crea il Dio che trova. Si evidenzierà il guadagno teorico desumibile da questi autori. Se per il credente “creativo” di Salomé, la fede racchiude in se stessa il dubbio e la nostalgia delle origini, e se, per Winnicott, in ultima analisi la valenza psicologica della fede sta tutta nel crederci, il credente, non meno che lo psicologo della religione, è orientato alla consapevolezza della metaforicità sempre insatura del discorso religioso e, per conseguenza, anche al pluralismo religioso.
Si presentano alcune considerazioni a riguardo della psicologia della religione quale settore specifico e autonomo di indagine psicologica. Si sostiene la necessità, da una parte, di definire correttamente l’oggetto di studio, la religione e, dall’altra parte, di difendere l’approccio psicologico, in quanto psicologico, dal riduzionismo neurobiologico o dall’annessionismo psico-sociologico. Ciò che interessa lo psicologo della religione non è la religione per sé, ma ciò che accade nella psiche/mente dell’uomo quando si relaziona alla religione che incontra nella propria cultura. La religione dell’individuo si distingue dalla spiritualità, dalla ricerca di significato, dalla mindfulness per la sua caratteristica peculiare: la convinzione soggettiva di essere in relazione con il Trascendente. Questa convinzione si manifesta in credenze, sentimenti, relazioni, atti cultuali, comportamenti normati. Da una parte ciò riguarda strettamente il vissuto individuale, dall’altra trova realizzazione in una cultura specifica con forme religiose istituzionali ed un linguaggio simbolico-culturale determinato sia nel tempo che nello spazio. Ciò richiede una prospettiva psicodinamica e clinica della psicologia della religione, accanto a quella socio-culturale. L’attuale successo della psicologia sociale della religione viene ripensato criticamente nelle sue opportunità e sfide.
Viene fatta una distinzione tra coping e coping religioso, osservando come la seconda accezione rischi di essere impropria dal punto di vista epistemologico e metodologico. Il modello del coping può essere utile per comprendere qualche aspetto del comportamento religioso in condizioni di stress, ma appare poco fruttuoso per la comprensione dell’identità religiosa e delle sue eventuali derive psicopatologiche. Ciò è dovuto al fatto che il modello del coping non può esser inteso come una teoria psicologica della personalità. Per questa ragione, pare difficoltoso il suo impiego in riferimento alla salute mentale, che può essere intesa come possibile risoluzione della conflittualità psichica che caratterizza la personalità.
La “varietà” dell’esperienza religiosa si estrinseca anche nell’offerta di sistemi di significato, che hanno un particolare valore nelle situazioni di disagio e di discrepanza tra quello che è atteso-desiderato-contemplato-pensato e ciò che può improvvisamente sconvolgere piani esistenziali e progetti di vita. Operando mediante i percorsi della “conservazione” o della “trasformazione”, le religioni consentono di affrontare l’idea della morte, assieme al carico cognitivo-emotivo che essa porta con sé sia “prima”, garantendo ancoraggi utili a fronteggiare il “terrore della morte”, sia “dopo”, mediante processi che, durante le varie fasi di valutazione dell’evento luttuoso, cercano (non sempre con successo) di garantirne un benefico inquadramento nelle cornici di significato preesistenti.
Questo contributo illustra il modello multidisciplinare e integrato di conversione, elaborato da Rambo e coll., per comprendere il processo attraverso il quale le persone cambiano religione. l’idea alla base di questo contributo è che la conversione è un processo di trasformazione religiosa che si realizza in un campo di forze dinamico nel quale sono coinvolte persone, istituzioni, eventi, idee e esperienze. Lo studio della conversione deve tenere conto non solo della dimensione personale, ma anche delle dinamiche sociali e culturali che influenzano la persona.
L’opera di Ana-María Rizzuto è di rilievo decisivo per la psicologia della religione, sia per i risultati raggiunti che per la metodologia proposta: è un punto di svolta del contributo della psicoanalisi a una migliore comprensione dell’atteggiamento non solo del credente, ma anche del non credente. Tra i risultati principali offerti dalla Rizzuto, vengono sottolineate sia l’evidenziazione dei tratti inconsci della rappresentazione mentale, inclusa la rappresentazione di Dio, sia l’indicazione delle relazioni tra la rappresentazione di Dio principalmente inconscia o pre-conscia e l’atteggiamento personale verso Dio. Questo articolo si propone di illustrare alcuni minori punti critici, riferiti al concetto di ‘rappresentazione inconscia di Dio’ e propone una via percorribile per evitare le ambiguità della formulazione.
La categoria di fondamentalismo è socialmente costruita e politicamente negoziata, con significati che poco hanno a che vedere con quelli originari riferiti al protestantesimo. A proposito di Islam, per cui l’uso della categoria “fondamentalismo” è relativamente recente, occorre risalire a due diverse reazioni alla crisi culturale e politica seguita alle sconfitte militari dal XVII al XIX secolo: una “modernista”, per cui l’Islam aveva perso perché era rimasto indietro rispetto all’Occidente, e una “tradizionalista”, che attribuiva invece le sconfitte a un’eccessiva occidentalizzazione che si era allontanata dalla semplice fede dei padri. Nell’ambito della corrente tradizionalista, si sviluppano nel XX secolo prima il fondamentalismo, che è un progetto politico, e poi l’ultra-fondamentalismo, che si serve del terrorismo per perseguire i suoi scopi.
Questo articolo descrive la costruzione di un questionario che ha lo scopo di misurare la religiosità cattolica con il Metodo dei punteggi ottimali, basata sulla quantificazione di variabili nominali (conosciuta anche come Analisi delle corrispondenze) e fornire un punteggio su una scala a intervalli. Partendo da diciassette ipotesi iniziali, tradotte in altrettante domande, ne sono state selezionate nove che danno un indice di coerenza interna elevato (α di Cronbach pari a 0,87). L’analisi fattoriale tradizionale e la modellistica strutturale confermano l’esistenza di un fattore latente. Il campione è costituito da 1957 adulti italiani di varia provenienza, sia culturale sia geografica. Le correlazioni con due scale di religiosità (I-E/R e Quest) permettono di accertarne parzialmente la validità.