La cultura contemporanea, permeata dalla secolarizzazione per un verso, dal mito della scienza e dalla logica tecnologica dall’altro, ha profondamente inciso sulla religione. Questo perché le definizioni tradizionalmente usate per dire le religioni richiamano concetti come “verità oggettiva” o “assoluto”, che incontrano non poche resistenze negli stessi credenti. Inoltre l’esaltazione della soggettività, così presente nel vissuto contemporaneo, oltre a rendere complesso il concetto stesso di appartenenza ad una determinata religione, sembra non siano più sufficienti a contenere quell’insieme di motivazioni e di atteggiamenti che motivano una ricerca di una diversa trascendenza, più riferita all’io, come ben esprime M. Buber quando afferma: “abbiamo bisogno di avere la nostra esistenza confermata dall’altro”. Nasce così all’interno della psicologia, a partire da quella fenomenologica di Jasper, sviluppandosi poi attraverso la psicologia dinamica e le psicologie umanistiche, la formulazione di “vita spirituale” per esprimere un bisogno profondamente umano, che può svilupparsi in un orizzonte sia religioso che agnostico o anche ateo. Questa nuova descrizione consente di cogliere meglio i bisogni e le trasformazioni “spirituali” dell’identità contemporanea e le relative forme di esperienza e di espressione.
La fragilità dei legami sociali e la crescita della conflittualità nella società odierna, sono legate all’indebolimento dell’ethos civile che si nutriva della saldezza della fede cristiana entro l’ideale della prossimità. L’autentica rivelazione di Dio come Abbà in Cristo implica un’idea di fede connotata dalla relazione affettiva con Dio. La realtà scolastica d’oggi, anche in età pre-scolare, è caratterizzata in misura crescente dall’azione di comportamenti aggressivi tipici dei Disturbi della Condotta che impongono la necessità di interventi preventivi globali. L’inclusione dell’altro, nell’elaborazione di un Piano Annuale per l’Inclusione, si concretizza nell’accoglienza e nella valorizzazione della diversità; l’IRC in prospettiva interculturale diviene allora il luogo di incontro e di dialogo nel quale i bambini possono sperimentare relazioni serene. La didattica inclusiva dell’IRC promuove la pace, l’accoglienza dell’altro e l’altruismo come valori nella scuola di Stato.
In questo contributo si presentano i risultati di una ricerca di Namini e Murken (2008), in cui gli autori esplorano la relazione tra la composizione della famiglia d’origine di una persona e la scelta del tipo di Nuovo Movimento Religioso a cui decide di affiliarsi. Sembra che la scelta possa essere effettuata, almeno in parte, sulla base delle specifiche caratteristiche del gruppo e, quindi, da ciò che quest’ultimo offre al convertito. Inoltre, gli aspetti di coping collegati alla perdita del padre e al numero di fratelli possono essere più importanti di altri, nel momento in cui l’individuo sceglie a quale movimento aderire. In generale, i risultati della ricerca evidenziano che lo studio di come una determinata religione si adatti a una particolare persona sia un utile approccio allo studio del processo di affiliazione nel settore specifico dei NMR.
Starting from the legacy of Lou Andreas Salomé and Donald Winnicott, this contribution aims to overcome the problem of the truth of theological affirmations (“beliefs”) maintaining that the psychological value of religion is just in “believing”. Lou Andreas Salomé thought that narcissism is an early experience of “oneness with the universe”. According to her, man tries all his life, to regain such a state of well-being via creative experiences such as art, love, and religion. As far as religion is concerned, Salomé articulates a clear distinction between a “creative” and a “sedentary” believer, since the “creative” believer – in a certain way – calls into being his God. Winnicott considers religion of the individual to be an illusory transitional phenomenon; as a child with his mother, a believer creates the God he finds. The contribution focus on the theoretical paths opened by Salomé and Winnicott. Since Salomé’s “creative” believer’s religious faith encompasses doubt and Winnicott states that, in conclusion, the psychological value of believing is “believing in anything at all”, believers and psychologists of religion become aware of the never ending metaphoricity of religious language and, consequently, of the necessity of religious pluralism.
Some remarks about psychology of religion meant as a specific and autonomous domain are reported. The need of defining the object of investigation (religion) in a proper way and of defending the peculiarity of the approach (psychology) against the neurobiological and sociological reductionisms is stressed. The psychologist is interested not in religion itself, but in what occurs in human mind when religion is encountered within a culture (that is, religiosity). It is argued that religion is different from spirituality, search for meaning, mindfulness and so on since it is characterised by the subjective conviction to be in relation with the Transcendent. Such a conviction is expressed in beliefs, feelings, interpersonal relationships, rituals, normative behaviours. On one hand these aspects concern individual experience and, on the other hand, they are instantiated in a specific culture, with its own institutions, symbols and language, which develop in a given spatial-temporal context. This implies that a clinical and psychodynamic perspective, beside the sociocultural one, has to be taken into account. The current success of the social psychology of religion is critically examined by considering its potentialities and limits.
Questo studio affronta la questione della fiducia dei cattolici romani nella loro Chiesa dopo la crisi degli abusi sessuali. A questa domanda si risponde attraverso un sondaggio tra 131 cattolici. Si possono distinguere diverse dimensioni di fiducia: essere sconvolti dall‘abuso, accusare la Chiesa di lassismo e di negligenza, aver fiducia nei media, perdere la fiducia nella Chiesa cattolica, dubitare della propria fede e prendere le distanze dalla Chiesa. Gli intervistati esprimono critiche alla Chiesa, ma anche fedeltà. Descriviamo un modello a quattro stadi della perdita di coinvolgimento: 1) conoscenza dell’abuso; 2) critiche alla Chiesa; 3) perdita della fede e 4) erosione dei legami con la Chiesa. Nelle donne e negli intervistati che conoscono vittime di abusi, l’erosione della fiducia si verifica più frequentemente. Negli intervistati con una preparazione teologica, la perdita della fiducia è relativamente minore.
Muovendo dalle prospettive aperte da Lou Andreas Salomé e Donald Winnicott, questo contributo propone di superare il problema della verità delle affermazioni teologiche (le credenze) mostrando che, in realtà la valenza psicologica della religione consiste proprio nel “credere”. Lou Andreas Salomé considera il narcisismo come un’esperienza originaria di fusione con il tutto. L’individuo per tutta la vita tenderebbe a ricostituire quello stato di benessere attraverso esperienze pregnanti, quali l’amore, l’arte, la religione. In Salomé il credente “creativo” si distanzia dal “sedentario” in quanto crea, ed in un certo modo pone in essere, il suo Dio. Con Winnicott possiamo considerare la religiosità un fenomeno transizionale illusorio, se liberata dai residui dell’onnipotenza allucinatoria infantile. Come il bambino con la propria madre, anche il credente crea il Dio che trova. Si evidenzierà il guadagno teorico desumibile da questi autori. Se per il credente “creativo” di Salomé, la fede racchiude in se stessa il dubbio e la nostalgia delle origini, e se, per Winnicott, in ultima analisi la valenza psicologica della fede sta tutta nel crederci, il credente, non meno che lo psicologo della religione, è orientato alla consapevolezza della metaforicità sempre insatura del discorso religioso e, per conseguenza, anche al pluralismo religioso.
Si presentano alcune considerazioni a riguardo della psicologia della religione quale settore specifico e autonomo di indagine psicologica. Si sostiene la necessità, da una parte, di definire correttamente l’oggetto di studio, la religione e, dall’altra parte, di difendere l’approccio psicologico, in quanto psicologico, dal riduzionismo neurobiologico o dall’annessionismo psico-sociologico. Ciò che interessa lo psicologo della religione non è la religione per sé, ma ciò che accade nella psiche/mente dell’uomo quando si relaziona alla religione che incontra nella propria cultura. La religione dell’individuo si distingue dalla spiritualità, dalla ricerca di significato, dalla mindfulness per la sua caratteristica peculiare: la convinzione soggettiva di essere in relazione con il Trascendente. Questa convinzione si manifesta in credenze, sentimenti, relazioni, atti cultuali, comportamenti normati. Da una parte ciò riguarda strettamente il vissuto individuale, dall’altra trova realizzazione in una cultura specifica con forme religiose istituzionali ed un linguaggio simbolico-culturale determinato sia nel tempo che nello spazio. Ciò richiede una prospettiva psicodinamica e clinica della psicologia della religione, accanto a quella socio-culturale. L’attuale successo della psicologia sociale della religione viene ripensato criticamente nelle sue opportunità e sfide.
Viene fatta una distinzione tra coping e coping religioso, osservando come la seconda accezione rischi di essere impropria dal punto di vista epistemologico e metodologico. Il modello del coping può essere utile per comprendere qualche aspetto del comportamento religioso in condizioni di stress, ma appare poco fruttuoso per la comprensione dell’identità religiosa e delle sue eventuali derive psicopatologiche. Ciò è dovuto al fatto che il modello del coping non può esser inteso come una teoria psicologica della personalità. Per questa ragione, pare difficoltoso il suo impiego in riferimento alla salute mentale, che può essere intesa come possibile risoluzione della conflittualità psichica che caratterizza la personalità.
La “varietà” dell’esperienza religiosa si estrinseca anche nell’offerta di sistemi di significato, che hanno un particolare valore nelle situazioni di disagio e di discrepanza tra quello che è atteso-desiderato-contemplato-pensato e ciò che può improvvisamente sconvolgere piani esistenziali e progetti di vita. Operando mediante i percorsi della “conservazione” o della “trasformazione”, le religioni consentono di affrontare l’idea della morte, assieme al carico cognitivo-emotivo che essa porta con sé sia “prima”, garantendo ancoraggi utili a fronteggiare il “terrore della morte”, sia “dopo”, mediante processi che, durante le varie fasi di valutazione dell’evento luttuoso, cercano (non sempre con successo) di garantirne un benefico inquadramento nelle cornici di significato preesistenti.