Identità religiosa, Pluralismo, Fondamentalismo (Aletti & Rossi)
Recensione di Massimo Diana sulla Rivista di Psicologia Analitica, 71/2005, nuova serie n. 19, 168-171 al volume Aletti M. & Rossi G. (2004). Identità religiosa, Pluralismo, Fondamentalismo. Torino: Centro Scientifico Editore, pp. 333.
Il volume raccoglie i contributi più significativi (una quarantina) del Convegno omonimo organizzato a Torino nel 2002 dalla Società Italiana di Psicologia della Religione. Come scrive Mario Aletti – Presidente della Società e Curatore, insieme a Germano Rossi, del volume – “è un libro controcorrente, perché punto di arrivo e testimonianza del percorso di ricerca e di riflessione e, insieme, dell’assunzione di un impegno etico-sociale da parte della comunità degli psicologi”; ed è “un libro innovativo. Per la prima volta i temi dell’identità religiosa e delle sue alienazioni e derive, del pluralismo religioso e del fondamentalismo, dell’integralismo, e finanche del terrorismo, sono studiati in maniera organica in prospettiva psicologica” (p. XI).
Come sosteneva provocatoriamente lo stesso Aletti in diversi editoriali apparsi su Psicologia della religione-news e riportati in Appendice al volume, gran parte della psicologia contemporanea, fuorviata da un etnocentrismo acritico, avrebbe trascurato la psiche di persone e di culture “altre” rispetto a quella occidentale, finendo “in una pregiudiziale epistemologica gravemente ingannevole: quella di identificare la psiche dell’uomo con le sue manifestazioni nella cultura occidentale”. In questo senso, in riferimento agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 – evento che ha stimolato la Società all’organizzazione del Convegno – possiamo dire che gli psicologi erano anch’essi dentro le torri, cioè all’interno e solidali “con quella cultura che le aveva volute come simbolo del potere economico occidentale. Una cultura dimentica del fatto che al di fuori di quelle torri c’erano due terzi dell’umanità e, nello specifico, di soggetti psichici, ignorati dalla psicologia”. Ora, proseguiva Aletti nei suoi editoriali, un modo per uscire dalle torri era quello di “accettare la sfida degli interrogativi psicologici che il fondamentalismo terrorista poneva con urgenza” (p. XII). Questo l’obiettivo, insieme di ricerca e di impegno etico-sociale, del Convegno e del volume che ne ha pubblicato i principali contributi.
Il volume contiene saggi di numerosi studiosi, che muovono da differenti prospettive psicodinamiche e psicoculturali, raccolti in cinque parti. La prima – intitolata dai curatori Per una definizione della questione – raccoglie i saggi di carattere fondativo. Il primo, di Antoine Vergote, si sofferma sulle motivazioni psicologiche, quelle “inconsce, in cui l’affettività e l’immaginario scavalcano la ragione, influenzando le decisioni” (p. 11), sottese alla scelta fondamentalista: la difesa angosciata dell’identità; la rivalità diffidente e aggressiva (che in psicanalisi prende il nome pertinente di deviazione narcisistica, in cui “l’amore di sé, grazie al quale si può amare gli altri come se stessi, vi si gonfia con l’esclusione dell’altro”, p. 13); il sospetto paranoide e la tentazione escatologica, attraverso cui il credente si identifica con lo sguardo e il giudizio divino fino al rifiuto del mondo, anticipando così, in modo deliberato e radicale, il giudizio escatologico. Chiare le conclusioni di Vergote: “il fondamentalismo non è un difetto cognitivo. È la reazione di tutta la psiche in pericolo; una reazione che si allea spesso ad una posizione narcisistica esacerbata” (p. 15). Di taglio più fenomenologico il contributo di Ermis Segatti, che evidenza come si possa legittimamente sostenere che il fondamentalismo “è riscontrabile in tutte le grandi religioni o correnti spirituali… è un fenomeno metareligioso o, se si vuole, transreligioso” (p. 17).
Di grande respiro è il successivo contributo, di Mario Aletti. Dopo aver evidenziato i tratti fondamentali del fondamentalismo così come è stato categorizzato in occidente, sia sotto il profilo ideologico che organizzativo, Aletti delinea, da un punto di vista psicosociale, i tratti comuni più facilmente osservabili nel fondamentalismo: il dogmatismo, inteso come “una struttura cognitiva caratterizzata dal bisogno di accentuare la differenza tra le proprie e le altrui convinzioni” (p. 29); l’affidarsi ad una assoluta inerranza e immutabilità (astorica) del Testo Sacro, espressione diretta di Dio scaturita nella notte dei tempi storici; la tendenza al riconoscimento di una autorità infallibile, che giustifica e sostiene l’istaurarsi di una leadership e di un struttura organizzativa autoritaria; il senso di una appartenenza elitaria ed escludente; l’integralismo, per cui l’organizzazione sociale, culturale, politica, giuridica, economica, educativa ha per referenti i principi religiosi desunti dal Testo. Secondo questa prospettiva – scrive Aletti – “il fondamentalismo rappresenterebbe… la possibile deriva patologica di tutte le religioni e non una peculiarità di una qualche specifica religione” (p. 30). La psicologia, a questo proposito, può dare un interessante contributo: “l’approccio psicologico è rivolto alle modalità ed ai processi psichici messi in gioco; per dirla con Winnicott, esso si interessa non all’oggetto, ma all’uso dell’oggetto. E per lo stesso motivo parliamo di fondamentalismo (al singolare, facendo riferimento ad un atteggiamento mentale ed ai processi psichici che vi si intrecciano) che si manifesta nei diversi fondamentalismi religiosi (al plurale) accertabili sia nelle forme istituzionali che nella religiosità individuale” (pp. 36-37). Aletti propone, a questo punto, un modello psicologico genetico-strutturale che chiama dell’autoreferenzialità acritica, facilmente verificabile “sia in alcuni atteggiamenti verso il testo sacro sia nella tendenza ad attribuire un valore discriminante, appunto ‘fondamentale’, all’esperienza” (pp. 37-38). Secondo la prospettiva della psicoanalisi relazionale, conclude Aletti, “la religione vissuta, che può costituire un elemento trasformativo, di crescita della personalità, potrebbe invece diventare un fattore patogenetico quando, anziché come fenomeno transizionale, si strutturasse come oggetto feticistico. Il fondamentalismo religioso in questo caso può essere considerato come un feticismo che induce al letteralismo del testo sacro, al ritualismo del rito, all’ossessività-compulsività nella pratica morale, alla pretesa elitaria della vocazione divina, all’esclusivismo e alla chiusura dell’organizzazione, all’autoritarismo della struttura, alla sovrapposizione del religioso al sociale, al politico, al giuridico” (p. 41). La prima parte del volume si chiude con due contributi di taglio sociologico: il saggio di Franco Garelli che muove dal provocatorio testo di Josè Casanova (Oltre la secolarizzazione: le religioni alla riconquista della sfera pubblica) e il saggio di Massimo Introvigne, fondatore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni) che ricostruisce le dinamiche del gesto terroristico suicida di Hamas.
La seconda parte del volume – L’identità religiosa e le sue maschere. Aspetti socioculturali del fondamentalismo – contiene diversi contributi che inquadrano i fenomeni anche dal punto di vista della teoria junghiana. Maria Alfonsa Fontana Sartorio evidenzia come Jung parlasse di attività compensatoria dell’inconscio, volta ad equilibrare le tendenze unilaterali della coscienza, in una perenne dialettica tra elementi individuali e collettivi. Secondo questa prospettiva, il fanatismo può essere considerato una unilateralità non superata: “perché il fanatismo è sempre presente in coloro che devono soffocare un dubbio interiore” (p. 72). Giovanni Sorge e, più avanti, Massimo Diana, recuperano il concetto junghiano di inflazione psichica, secondo cui l’assimilazione dei contenuti inconsci può condurre ad un eccesso di sopravvalutazione dell’Io, una pericolosa espansione della personalità che può giungere fino ad una supposta ‘somiglianza con Dio’. I numerosi saggi raccolti perlopiù nei due tomi del Volume 10 delle opere di Jung possono effettivamente aiutare la comprensione psicologica dei fenomeni collettivi: è quanto sostenuto da Massimo Diana nel suo contributo che recupera e discute concetti cari alla psicologia analitica come quelli di possessione e di epidemia psichica e di come sia indispensabile “una rigorosa differenziazione dalla psiche collettiva affinché l’individuo non si dissolva nel collettivo… il fatto che l’Io sia assimilato al Sé va considerato una catastrofe psichica” (p. 100). In questa prospettiva, il processo di individuazione può rappresentare una risposta al fondamentalismo. Augusta Uccelli, sempre in una prospettiva junghiana, insiste sulla necessità del recupero della dimensione simbolica: “l’esperienza religiosa è di per sé normale, ha sempre fatto parte della vita umana; la sua patologia consiste però in un atteggiamento dell’Io del singolo o di un gruppo di identificazione totale con il contenuto archetipo… l’atteggiamento fondamentalista non può cogliere il simbolo nella sua sostanziale oscillante ambiguità, fatta di chiaro-scuro” (p. 111). Quando un simbolo muore – come Jung aveva previsto parlando della storicità e relatività dei simboli – si aprono periodi di crisi, sia per gli individui che per la collettività: “I due sbocchi estremi sono stati la spinta in avanti delle utopie (cambiamo tutto) e la spinta all’indietro dei fondamentalismi (ripristiniamo tutto come era alle origini). In entrambi i casi la storia si è incaricata di mostrare che si tratta di sbocchi nefasti” (p. 113).
La terza parte del volume – Le radici e i rami. L’identità religiosa nel contesto delle nuove religiosità – analizza la molteplicità delle possibili articolazioni dell’identità religiosa e delle sue derive nell’odierna pluralità delle religioni, mentre la quarta parte – Costruzione, decostruzione, ricostruzione dell’identità religiosa. Aspetti clinici – raccoglie saggi che focalizzano di volta in volta temi inerenti alla sintomatologia, alla psicopatogenesi, alla psicoterapia. La quinta e ultima parte – Figure dell’identità e forme della religione. Ricerche empiriche – presenta infine ricerche condotte in ambito italiano, spesso da giovani studiosi, sui temi dell’identità religiosa e le sue derive. Tale è la ricchezza dei materiali presenti che non è qui possibile darne altro che un cenno generale. Ci piace però evidenziare ai lettori interessati alla prospettiva psicodinamica il contributo di uno psicoanalista di lunga esperienza, Piergiorgio Morerio, che avvicina le complesse dinamiche sottese al fondamentalismo “a quell’aspetto misterioso e inquietante della sofferenza umana rappresentato dalle psicosi” (p. 189). Con riferimenti prima a Freud e poi a Lacan, Morerio applica al fenomeno di massa del fondamentalismo i criteri di interpretazione desunti dalla conoscenza che la psicoanalisi ha acquisito nel trattamento delle patologie individuali, delle dinamiche dell’aggressività e della proiezione. Secondo un approccio clinico si noterebbe, nelle psicosi come nel fondamentalismo, il rigetto di ogni possibile forma di fede, accompagnato ad una serie di certezze inoppugnabili circa le “ultime cose” e la “visione del mondo” che vi si riscontra. Ora, osserva Morerio, “può apparire contraddittorio connotare un fondamentalismo di incredulità… tuttavia le caratteristiche di intolleranza, di certezza assoluta della propria affermazione… ed insieme l’azzeramento di ogni spirito critico, portano le forme di fondamentalismo a contenuto religioso ad apparentarsi ad ogni altro fondamentalismo pur dichiaratamente ateo… Affermazione di massicce certezze, così lontana dall’abbandono fiducioso in un atto di fede” (p. 190).
Ci piace concludere questa rassegna con le parole di uno dei maestri della psicoanalisi europea, Gaetano Benedetti, citate dallo stesso Morerio nel suo contributo: “In generale si può sostenere che il fattore religioso sia patologico quando sono offese l’integrità e la dignità dell’uomo nell’amore e nella solidarietà con gli altri. Quando fenomeni spirituali come le esperienze mistiche, l’aprirsi al trascendente, le visioni ultraterrene, l’allargamento della coscienza sono messi in moto da strumenti dell’autoaccusa, dell’umiliazione o addirittura della distruzione, noi che ci battiamo come psicoterapeuti per l’integrità dell’immagine dell’uomo e la difendiamo da rappresentazioni negativizzanti, siamo autorizzati a parlare di una psicopatologia, di una smania di autodistruzione che è in antitesi con l’interiore armonia, la salute, la gioia per i doni della vita” (pp. 192-193). Il volume è dedicato alla memoria di Lorenzo Bignamini, lo psichiatra morto a causa del suo lavoro e di Luciano Frasconi, docente di filosofia morale all’Università di Milano, già Soci attivi della Società, che hanno offerto il loro ultimo contributo scientifico proprio nel Convegno i cui atti sono qui raccolti. (Massimo Diana)