Psicoanalisi e fede (Fattori & Vandi)
Aletti, M. (2018). Recensione a L. Fattori & G. Vanni (Eds.), Psicoanalisi e fede: un discorso aperto, Franco Angeli, Milano 2017. In Teologia. Rivista della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, 43, 288-291.
Per lungo tempo, in Italia, la storia dei rapporti tra psicoanalisi e religione ha registrato scontri tra istituzioni (ecclesiastiche e psicoanalitiche) e conflitti ideologici, piuttosto che dibattiti culturali. Solo a partire dagli anni ’60 del Novecento, la maggior conoscenza e frequentazione reciproca tra alcuni ecclesiastici e singoli psicoanalisti, l’avvicinamento di alcuni psichiatri e psicologi cattolici alla psicoanalisi e la loro partecipazione ad organismi internazionali dove il dialogo era da tempo avviato, ha fatto sì che si abbattessero diffidenze e steccati. Al punto che nel 1971 Vittorino Joannes, curatore della raccolta Psicoanalisi e fede cristiana, che pubblicava testi di psicoanalisti cattolici prevalentemente francofoni, con un certo ottimismo precorritore, dava per acquisito il superamento della fase delle contrapposizioni. Da allora, diversi passi sono stati compiuti attraverso iniziative culturali, incontri, convegni, spesso sfociati in pubblicazioni. Perciò il “discorso aperto”, indicato nel titolo, non allude alla caduta di una barriera o al superamento di una soglia, ma propone una nuova tappa di un percorso già avviato e maturato nel tempo. Anche il fatto che quasi tutti gli autori dei saggi siano membri della SPI-Società Psicoanalitica Italiana dell’IPA-International Psychoanalytical Association si pone in una linea di continuità con almeno una precedente esperienza, il convegno tenutosi a Verona nel 2001, co-organizzato dalla SIPR-Società Italiana di Psicologia della Religione sul tema Psicoanalisi e religione; nuove prospettive clinico-ermeneutiche (divenuto titolo del volume pubblicato l’anno successivo). Tra i relatori allora convenuti alcuni tra i principali esponenti della psicoanalisi freudiana, psicologi della religione, filosofi e teologi.
Opportunamente, nella Prefazione, Stefano Bolognini, già Presidente della SPI ed ora Presidente della Associazione Internazionale, segnala che la psicoanalisi è “in condizione oggi di trattare in modo esplorativo, aperto e libero da pregiudizi un ambito esperienziale come quello religioso, un’area di tabù paradossalmente a rischio di diventare a sua volta un’area-tabù per gli psicoanalisti” (p.12). Nell’Introduzione, le due curatrici, Lucia Fattori e Gabriella Vandi, tracciano le linee storiche della questione, a partire dalle opere di Freud, in particolare L’avvenire di un’illusione del 1927 e dal franco dibattito aperto dalla risposta dell’amico Pastore psicoanalista Oskar Pfister, con L’illusione di un avvenire (1928) che contestava a Freud una eccessiva fede nella scienza (“scientismo”). Inoltre, sottolineando come sia il credere religioso, sia la psicoanalisi abbiano alla base un atto di fede e fiducia che consente di affidarsi ad un altro, e osservando che spesso Dio “sembra sparire “non solo dagli scritti psicoanalitici, ma spesso anche dalla stanza d’analisi” (p. 22), giungono ad interpellare i colleghi psicoanalisti circa una possibile “sordità pregiudiziale”, nella loro pratica clinica, ai temi della fede e del più universale bisogno di credere.
Psicoanalisi e fede: un rapporto possibile, oltre la religione
Nella prima parte del volume, Psicoanalisi e fede: un rapporto possibile, oltre la religione la parola ‘fede’ viene analizzata nelle molteplici connotazioni e da diversi punti di vista, a partire dal significato etimologico-linguistico, storico-antropologico, e più direttamente psicoanalitico (Dino Riccio, Antinomia tra religione e fede). Si evidenzia come il credere sia un bisogno pre-religioso, con cui l’espressione istituzionale nelle religioni monoteistiche, specie nell’Ebraismo e nel Cristianesimo, intreccia rapporti di contiguità e di convergenza (Alberto Sonnino, Pensiero ebraico, religione e psicoanalisi), ma anche di istanza critica nei confronti delle derive violente e fondamentaliste cui un monoteismo assolutista è esposto (Giuseppe Barbagli, Il monoteismo fonte d’intolleranza e di violenza). Diversi Autori presentano la fede/fiducia come elemento costitutivo sia della religione sia della psicoanalisi, con espliciti riferimenti alla prospettiva winnicottiana della creatività o alla realtà ultima di Bion; anche il modello della “nascita del Dio vivente” nell’uomo, lungo tutto il corso della sua vita, prospettato da Ana-María Rizzuto, incontra molti consensi. Il valore della fede in ambito psicoanalitico viene evidenziato da Arrigo Bigi che, intendendola come un “dare credito a “intuizioni soggettivamente convincenti” (p. 60), ne propone un’efficace rilettura attraverso modelli proposti da grandi maestri: “fede nella bontà della vita in Neri, fede nella creatività in Winnicott, fede nella realtà ultima in Bion” (p. 73). Tale fede nel corso del processo analitico si prolungherà anche nella “capacità di finire l’analisi” e nella “fede nell’accoglienza della vita, nelle sue forme presenti e in quelle inedite” (p. 74).
La fede nella clinica psicoanalitica
La seconda parte, La fede nella clinica psicoanalitica, approfondisce il complesso intreccio nella prospettiva di ciò che accade nella stanza d’analisi, con un’attenzione privilegiata sul mondo interno del paziente, ma anche sull’atteggiamento personale dell’analista. Maria Stanzione, nel denso saggio Terra-Madre psicoanalitica. Illusione, credenza, fede, deliri: limiti e confini, si focalizza sulla “esperienza di fede dei pazienti in analisi” condividendo la convinzione della Rizzuto che il ‘paesaggio sacro’ “è parte integrante dell’intero paesaggio psichico del soggetto in analisi” (p. 77). Il saggio, arricchito da riferimenti puntuali a Donald Winnicott, e alla più recente letteratura (Ana-María Rizzuto, Julia Kristeva ed altri) fornisce un prezioso esempio del risalto clinico delle proposte teoriche. Relazione psicoanalitica e relazione di fede possono entrambe riconoscersi nella metafora del cammino nel deserto, secondo Lidia Leonelli Langer. Per la somiglianza di metodo e percorso, per la relazione di fede/fiducia e per l’apertura all’inconscio ed all’inconoscibile, che entrambe postulano e mettono in atto. Al punto che ad ambedue si addice la massima riportata a mo’ di esergo: “L’asino che ti ha accompagnato fin sulla porta, non ti serve per entrare” (p. 91). Attento alle espressioni e alle dinamiche del credere religioso, il contributo si invera con puntuali riferimenti al mondo culturale ed esperienziale dell’ebraismo e alcuni suoi studiosi ed interpreti. Gabriella Vandi indaga su Il credere come bisogno umano, “passione universale” (p. 141), sul suo radicamento pulsionale e sulle sue declinazioni e vicissitudini. A partire dal pensiero di Freud quale espresso in particolare ne L’avvenire di un’illusione e nel confronto con Romain Rolland sul sentimento ‘oceanico’ come intuizione di un’unità originaria e fondante (che non a tutti è data – attestava Freud), per giungere fino a quello che il paziente dice in analisi circa il suo Dio e alle emozioni controtransferali dell’analista. Nel ripercorrere la letteratura sul tema, (con un’insolita attenzione alla raffigurazione maschile/femminile di Dio) l’autrice si rifà in particolare ad Ana-María Rizzuto per la quale Dio è un oggetto transizionale illusorio in senso winnicottiano e a Julia Kristeva per la quale il bisogno di credere si radica in una necessità primaria d’identificazione con un Altro. Di tale processo identificatorio l’analisi si fa istanza critica, rappresentando un luogo di passaggio “dalla fusione alla separatezza”, dove l’uomo è chiamato a “farsi carico, con fiducia e responsabilità, di desideri e illusioni che gli appartengono” (p. 146). Il ‘sentimento, oceanico’ è idealmente il punto di partenza anche del denso contributo di Valeria Egidi Morpurgo (“Tra questa immensità”. Stati estatici e psicoanalisi) che, però, va ben oltre la posizione di Freud e il dibattito con Rolland. Richiamandosi ai caratteri dell’estasi secondo Martin Buber, efficacemente sintetizzati come “discontinuità improvvisa nel soggetto, fusione con l’oggetto, mutamento della temporalità vissuta” (p.165), l’autrice sottolinea che “dal punto di vista psicoanalitico si tratta in primo luogo di dare credito al vissuto estatico, più che prendere partito sulla realtà dell’oggetto che l’estatico ricerca o di cui si fa testimone” (p. 171). Di qui, e con questa neutralità benevola, l’esplorazione delle dimensioni esperienziali oltre l’Io. Prospettiva che appare in aperta continuità con quella raccolta dalla stessa Egidi Morpurgo nella breve intervista a Umberto Curi, posta a Prologo di tutto il volume, in cui il filosofo ribadisce che la fede non contrasta la ragione, ma si richiama ad una dimensione altra, non meno importante, né meno soggettivamente vera.
Pensare Dio
La terza parte, Pensare Dio, si articola, in realtà, intorno alla difficoltà del pensiero e della rappresentazione di Dio e sulla complessità di ciò che accade nella psiche, dell’analista non meno che dell’analizzando, che dice del suo Dio. Proprio l’irrapresentabilità di Dio scandisce una riflessione dal vertice psicoanalitico nel contributo di Ambra Cusin, che muove da un interrogativo assolutamente intrigante: “è possibile che noi uomini ci rappresentiamo qualcosa di cui non abbiamo alcuna esperienza (né traccia mnestica) …?” (p. 196). Perciò la questione di cosa accade nella mente quando si cerca di ‘pensare’ a Dio non può ignorare che ogni ‘rappresentazione’ pretende di imprigionare l’infinito, di pietrificare l‘essenza divina “per dare ad essa una forma e così tollerare la nostra incertezza e poterci affidare, avere fede e credere” (p. 203). Decisamente stimolante anche il contributo di Enrico Gallucci, Il silenzio di Dio, il silenzio dell’analista. Dare senso come forma di conoscenza. Segnala il polimorfismo del silenzio e i molteplici significati che esso assume in funzione dell’interpretazione attribuitagli, sia da colui che è ‘silente’ sia da chi il silenzio lo ‘subisce’. Come nell’analisi si verifica a volte un silenzio pieno ed intenso, sostenuto dalla fiducia reciproca, così “Il credente deve accettare che l’esistenza di Dio sia accompagnata dall’assenza di certezza”, tale che si può dire che “La fede accoglie il dubbio” (p. 193). Arricchiscono il volume due articoli, qui opportunamente ripubblicasti, quello già citato di Giuseppe Barbaglio sulle derive del monoteismo come fonti di intolleranza e uno di Sophie de Mijolla-Meller su Il bisogno di credere e le sue fonti oceaniche.
Il volume, pubblicato nella Collana “Psicoanalisi e psicoterapia analitica” diretta da Valeria Egidi Morpurgo, costituisce un notevole approfondimento ed ampliamento di prospettive sul tema psicoanalisi e fede, che appare come un binomio indissolubile lungo la storia della psicoanalisi ed anche della cultura più in generale. La vexata quaestio tra Chiesa e Istituzioni psicoanalitiche cui si accennava, appare oggi superata, grazie ad un confronto reciproco, attento e rispettoso, tra psicoanalisti e studiosi di altre discipline, in particolare teologi. Questo libro ne è chiara testimonianza e, al tempo stesso, efficace ripresa. Un passo avanti decisivo è il superamento della questione della verità di contenuto della religione a favore della sua ‘verità psicologica’ e il privilegio accordato alla componente emotiva del discorso religioso individuale, sia esso di adesione, o di rifiuto. Ciò permette ai collaboratori di questa raccolta l’ascrizione della ‘fede’ ad oggetto proprio di psicoanalisi, cui applicare il modello interpretativo a ciascuno più consueto. Un’ulteriore novità di questa ripresa del tema sta nel fatto che gli Autori sono quasi psicoanalisti membri della SPI, e alcuni di essi collaborano in uno specifico gruppo di ricerca su “Psicoanalisi e fede” sorto nel 2004. E’ auspicabile che il percorso testimoniato da questa innovativa pubblicazione possa continuare, magari estendendosi fino a territori esplorati da altri autori o gruppi di studiosi, tra cui meriterebbe particolare attenzione la letteratura francofona e la rilettura di alcuni classici, a partire dalle pagine di Lou Andreas Salomé sulla “fede, fragile involucro del dubbio”. In conclusione, si tratta di un libro per tanti aspetti nuovo ed importante, che merita attenzione, divulgazione, e magari integrazioni, non solo negli ambienti psicoanalitici e psicologici, ma anche in quelli teologici e filosofici. (Mario Aletti)