In memoriam: Antoine Vergote (1922-2013)
Il Prof. Antoine Vergote ha lasciato questa vita, consapevole e sereno, giovedì 10 ottobre 2013, all’età di 91 anni. Maestro, collega e amico di molti di noi, era Socio onorario, fin dal 1998, della Società Italiana di Psicologia della religione, sempre presente con suggerimenti, insegnamenti e, molte volte, con la partecipazione personale ai nostri incontri. L’ultimo incontro ufficiale è stato il symposium in suo onore, organizzato a Bari nell’agosto 2011, durante il Congresso della IAPR-International Association for the Psychology of Religion, per festeggiare i suoi novanta anni. Il suo discorso fu ancora una volta magistrale e vibrante di passione per la psicologia della religione.
Vergote è universalmente considerato tra i fondatori e pionieri dell’attuale Psicologia della religione, che ha introdotto ed insegnato per trent’anni, a partire dal 1959, presso l’Istituto di Psicologia dell’Università di Lovanio, dove ha fondato, nel 1962, il Centre de psychologie de la religion, riferimento formativo per generazioni di studenti e studiosi, di psicologi e di Pastori. All’inizio degli anni Ottanta ha dato vita, insieme ad alcuni colleghi, al gruppo degli
European Psychologists of Religion che riuniva accademici e specialisti della disciplina in congressi e pubblicazioni del massimo rilievo e, a partire dal 2003, confluì nella nuova fondazione della IAPR.
Nato l’8 dicembre 1921 a Courtrai (Belgio), nel 1947 venne ordinato sacerdote nella Diocesi di Bruges. Dottore in Teologia (1950) e in Filosofia (1954), ha insegnato nelle due università Cattoliche di Leuven e di Louvain-la-Neuve, oltre che la Psicologia della religione, anche Antropologia filosofica e Filosofia della religione. Professore emerito dal 1987, ha ricevuto la laurea honoris causa dalle università di Nimega, di Lima, di Arequipa e di Salamanca ed altri prestigiosi riconoscimenti da importanti istituzioni di psicologia, filosofia e teologia.
Il suo pensiero e le sue ricerche hanno trovato espressione in un gran numero di articoli e in 16 volumi, di psicologia della religione e di psicoanalisi, ma anche di filosofia e di teologia, tradotti nelle principali lingue.
Come psicologo della religione ha sempre sostenuto una posizione chiara nell’individuare l’oggetto specifico della disciplina e ferma nel criticare ogni debordamento epistemologico e metodologico. Esemplare il suo articolo What the psychology of religion is and what it is not (The International Journal for the Psychology of Religion, 3/1993, 73-86).
“La mia concezione della psicologia della religione può essere riassunta in poche frasi. Non è compito della psicologia elaborare una teoria sull’essenza o sull’origine della religione. La psicologia muove dalla constatazione che le persone fanno riferimento alla/e religione/i e che la religione è sempre troppo complessa per essere considerata solo come un sistema di significati o come una strategia di adattamento al mondo. Ipotesi di lavoro puramente razionalistiche o funzionalistiche non rispondono adeguatamente alle questioni poste dalla psicologia della religione. La psicologia indaga desideri, sentimenti e rappresentazioni sottostanti e in gran parte preconsci, che sono in gioco nell’incontro con segni religiosi significativi e che condizionano la modalità attraverso cui un individuo vi si relaziona e costruisce la sua risposta personale. I significanti religiosi – simboli, metafore, le parole Dio o creatore, e così via – sono essi stessi multidimensionali, e i desideri, i sentimenti e le rappresentazioni interiori dei soggetti sono sovradeterminati. Non sono in un’interna e stabile armonia e cambiano in relazione alle diverse esperienze di vita e, per la persona religiosa, anche in relazione alle differenti gratificazioni o frustrazioni che gli vengono dalla religione. Studiare le vicissitudini determinate dalle esperienze conflittuali e dalla loro temporanea soluzione è il modo migliore per cogliere le rappresentazioni, i sentimenti e le strutture sottostanti che sono (cor)responsabili delle situazioni da studiare, sia di religiosità sia di non religiosità. (Trad. Ital. in M. Aletti, Percorsi di Psicologia della religione alla luce della psicoanalisi, 2 ed. Aracne, 2010, pp. 249-250)
Come psicoanalista, si è formato negli anni ’50 nella Société française de psychanalyse con Lacan, Henri Ey, Françoise Dolto, ed è stato tra i fondatori, nel 1960, e poi Presidente, della Ėcole belge de psychanalyse. L’approfondimento critico dei testi di Freud e di Lacan apre a riformulazioni teoriche importanti, come la revisione del concetto di sublimazione e la sottolineatura della specificità della realtà psichica inconscia originaria (“corpo psichico”), non riducibile né al corpo, né allo spirito cosciente. “L’esperienza psicoanalitica non spiega la segreta unità del corpo neuronale e delo psichico; ma essa ci obbliga a riconoscere che alcune idee comunemente accettate, come quelle di congiunzione o di interazione, non aprono prospettive adeguate sul corpo affettivo, se non conserviamo ferma la prospettiva sulla sua unità come dato originario” (La psychanalyse à l’épreuve de la sublimation, Ed. Du Cerf, Paris 1997, p. 101). Il corpo organico, dunque, diviene corpo vissuto. La psicoanalisi si interessa a “come questo corpo, luogo di pulsioni, è divenuto il mio-corpo, corpo di quell’Io che io sono, grazie a lui e in lui” (La constitution de l’Ego dans le corps pulsionnel, articolo del 1994). La sua profonda esperienza clinica, ed il suo coraggio innovativo trovano espressione anche nell’ultimo volume pubblicato nel 2011, su una psicoterapia psicoanalitica della schizofrenia.
Il suo contributo alla teologia consiste principalmente nella costante ricerca dell’intelligenza della fede illuminata dall’esperienza psicoanalitica e da un confronto con le scienze umane e con la cultura contemporanea. In questa prospettiva si colloca la sintesi consolidata del suo pensiero, espressa nel volume Humanité de l’homme, divinité de Dieu (Ed. Du Cerf, Paris, 2006) presentato come una ricerca interrogante e partecipe intorno al mistero “uomo” e al suo rapporto col mistero “Dio”. A questa duplice ricerca Antoine Vergote ha dedicato gran parte del suo impegno umano e intellettuale. Senza scorciatoie razionalistiche o fideistiche corse in avanti, ma al passo lento di in un rigore critico che non transige sull’esigenza di comprendere e, proprio per questo, si fa anche passo incerto dell’indagine, dell’attesa e della speranza. Vergote era consapevole che questo percorso di approfondimento è un cammino mai terminato, nella storia dell’umanità, così come nell’esistenza di un singolo uomo. Di qui la sua generosità nell’accompagnare ed incoraggiare altri a proseguire sul cammino da lui prospettato. Di qui, anche, il rilievo etico dello sforzo intellettuale che richiedeva ai suoi lettori, ai suoi allievi, ai collaboratori e, soprattutto, a se stesso; con quell’umile ma fiduciosa confidenza nell’indagare dell’uomo e sull’uomo che ha illuminato il suo percorso personale fino a che, come ha scritto chi ne annunciava la morte, “dopo una bella vita, è nato per l’eternità”.
Mario Aletti
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