Per una lettura psicologica del fondamentalismo religioso (2)
La logica funzionale
Da un punto di vista operazionale, è indispensabile prendere in considerazione quelli che in gergo accademico sono definiti “correlati psicologici” del fondamentalismo religioso. I correlati del fondamentalismo rappresentano tutte quelle dimensioni psicologiche associate al fondamentalismo religioso, di cui si possiedono dati empirici a sostegno di tale associazione. Quanto più il loro legame è accessibile alla conoscenza, tanto più la variabile oggetto dell’indagine (nel nostro caso il fondamentalismo religioso) avrà validità e attendibilità.
Gran parte della letteratura scientifica si è focalizzata sulla relazione tra fondamentalismo e costrutti d’interesse della psicologia sociale (autoritarismo, pregiudizio, omofobia), delle differenze individuali (tratti di personalità, genere) e solo recentemente, su specifici costrutti cognitivi (bisogno di chiusura cognitiva). Poca rilevanza è stata posta sulla relazione tra fondamentalismo e salute mentale e fisica o variabili socio-demografiche. “Molti autoritaristi [un costrutto che trae origine e rappresenta un’evoluzione del concetto di personalità autoritaria di Adorno] non sono fondamentalisti, ma alcuni lo sono. E molti fondamentalisti non sono autoritaristi, ma alcuni lo sono” (Altemeyer, 1996). La dimensione autoritarismo è la variabile che più si associa al fondamentalismo religioso. Le famiglie fondamentaliste tendono ad insegnare ai propri figli concetti valoriali come il rispetto dell’autorità e il convenzionalismo. La morale religiosa è reputata come assolutamente vera e pertanto non può essere messa in discussione. La religione con le sue figure istituzionali (prete, pastore, vescovo, patriarca) e con le sue regole e leggi rappresenta il corpus centrale attorno al quale è giustificata l’esistenza umana e chi non le rispetta è punito o condannato “all’inferno”.
L’autoritarismo analogamente al fondamentalismo, è specchio di una più generalizzata fonte di valori morali e sacri, del rispetto gerarchico delle istituzioni e di una interpretazione “letterale” delle leggi e delle regole, così come il grado in cui questi valori devono essere difesi. In più, gli autoritaristi tendono ad agire religiosamente, ad es. frequentando con regolarità i luoghi di culto, pregando e leggendo spesso le Sacre
Scrittura (Altemeyer e Hunsberger, 1992). Pertanto l’autoritarismo e il fondamentalismo condividono lo stesso scaffold (struttura) cognitivo, cioè la stessa struttura che a livelli quasi-patologici ha prodotto fenomeni negativi quali: pregiudizio e omofobia. Il fondamentalismo così come l’autoritarismo presenta una notevole resistenza al cambiamento: un rigido corpus di credenze e un bisogno di essere strutturati
cognitivamente, tutti elementi che hanno un’incidenza notevole nella relazione tra religiosità e pregiudizio. La relazione tra fondamentalismo e pregiudizio è molto complessa e, a volte, rappresenta un paradosso. La letteratura scientifica sottolinea la presenza di una serie di associazioni positive e lineari tra fondamentalismo religioso, autoritarismo e pregiudizio in una serie di campioni religiosi: Hindu, Musulmani, Ebrei, Cristiani. La stessa relazione si evidenzia riguardo all’atteggiamento verso l’omosessualità. Tuttavia, un nutrito numero di ricerche evidenzia come la dimensione del fondamentalismo religioso, in realtà, esplica una funzione mediatrice o debole nella relazione e da sola non spiega la totalità del fenomeno pregiudizio o omofobia. Una parte considerevole della letteratura scientifica si è dedicata allo studio della relazione tra le differenze individuali, espresse in termini di personalità e fondamentalismo. La personalità in questi studi è concepita come tratto distintivo che influenza profondamente i comportamenti e le attitudini degli individui. Le ricerche evidenziano come il tratto di
personalità che di gran lunga si associa al fondamentalismo è la dimensione di Apertura mentale, in direzione negativa. Come dimostrato in una recente meta-analisi (Saroglou, 2002a), oltre alla dimensione Apertura, il tratto Amicalità è la seconda dimensione associata positivamente al fondamentalismo. La relazione fra tratti di personalità e fondamentalismo è stata investigata trasversalmente in gran parte delle culture e religioni, con una pluralità di strumenti testitici e su più livelli, dimostrando l’applicabilità universale della teoria dei tratti al fondamentalismo e la generalizzazione dei risultati. Tuttavia, questa forte relazione tra apertura e fondamentalismo, porta in auge un interrogativo ad oggi dibattuto, ovvero qual è il reale contributo della componente genetico-biologica nel fondamentalismo. L’Apertura mentale difatti è il tratto di personalità che più di altri possiede una componente genetica. Il comprovato ruolo delle differenze individuali
ha spianato la strada per lo studio dell’incidenza del concetto di chiusura cognitiva nel fondamentalismo. Se il tratto Apertura mentale è correlato negativamente al fondamentalismo, è ipotizzabile che i fondamentalisti siano cognitivamente rigidi e riluttanti agli stimoli e alle informazioni esterne. Pertanto, i fondamentalisti sono chiusi cognitivamente. La dimensione chiusura cognitiva porta in seno una serie di accezioni di significato, talvolta impropriamente utilizzate. “Le persone religiose, e fondamentaliste, possono essere realmente interessate
e aperte a una serie di cose spesso contraddittorie alla propria fede, ma esse devono necessariamente essere integrate o subordinate in qualche modo alla loro fede” (Saroglou, 2002a). Nelle varie accezioni di chiusura cognitiva, la letteratura scientifica ha bocciato la presenza di relazioni rilevanti tra fondamentalismo e complessità di pensiero, intelligenza, chiusura mentale. Al contrario i dati a disposizione
evidenziano come le persone religione sono interessate nel differenziare le idee complesse da quelle non, così come sono disposte a mettere in discussione il proprio sistema di credenze a patto di non abbandonare il proprio sistema di credenze. L’accezione più accreditata di chiusura cognitiva è quella riguardante le dimensioni: bisogno di ordine e predittività (Saroglou, 2002b). I fondamentalisti, difficilmente tendono a tollerare il disordine cognitivo, evidenziando una forte esigenza d’integrazione e compattezza. In questo verso, la religione fondamentalista, per le sue caratteristiche, rappresenta l’organizzazione religiosa per antonomasia.
Un correlato di notevole importanza è dato dalla relazione tra salute mentale e fisica e fondamentalismo. La scarsità di lavori scientifici in merito, è dovuta ad una serie di fattori, tra le quali la difficoltà oggettiva di formulare ipotesi chiare e nette, la miriade di costrutti che sottostanno al concetto di salute, l’utilizzo di indici globali di misura per la religiosità (Hill, Pargament, 2003). Nonostante la presenza
di prove empiriche che ne attestano il ruolo positivo (Seybold e Hill, 2001), l’associazione tra religiosità e salute mentale e psichica resta tuttora da chiarire.
Pochi aspetti della religiosità sono stati presi in considerazione approfonditamente: ed esempio, un forte senso di vicinanza a Dio produce nel credente una serie di benefit (bassi livelli di depressione, alta autostima, maturità relazionale, traumi derivanti da catastrofi naturali). Credenti con un orientamento motivazionale intrinseco presentano elevati livelli di autostima, alta percezione di benessere, minor abuso
di droghe e alcool. L’effetto positivo della religiosità è stato riscontrato in diverse culture (America, Asia, Africa) e in diverse affiliazioni religiose (Protestanti, Cattolici, Ebrei, Islamici, Buddisti), ma non sempre essa gioca un ruolo positivo. Evidenze negative sulla salute derivano da studi che prendono in considerazione il ruolo svolto da rigide credenze religiose nella salute psichica (Stifoss-Hansen, 1994). Il fondamentalismo in questa direzione potenzialmente rappresenta l’emblema di una struttura di significati dai risvolti deleteri. Per le sue caratteristiche sociali e psicologiche, che per brevità non riporto, il fondamentalismo religioso potrebbe innescare un circolo vizioso caratterizzato da ansia e controllo. Un circolo che genera, nel militante fondamentalista un forte senso di colpa, inibizione sessuale, bassa autostima e paura di una punizione divina, portando allo sviluppo di disturbi di adattamento in relazione al gruppo di appartenenza. Un trend positivo, invece è sottolineato dal lavoro svolto da Seti e Seligman (1993), i quali riscontrano in individui che abbracciano le credenze fondamentaliste, livelli elevati di ottimismo e speranza rispetto agli eventi futuri. Tuttavia, la gran parte degli studiosi converge all’unanimità
sulla necessità di studi più accurati e mirati.
In ultimo, pochi studi hanno esplorato la relazione tra fondamentalismo e variabili sociodemografiche. In questa direzione, la ricerca evidenzia come le variabili: età, educazione, status lavorativo risultano essere potenziali predittori del fondamentalismo; tali da promuovere una sottoclassificazione di fondamentalismo in: organizzazionale-rituale, socio-culturale e teologicosupernaturalista. All’estremo, alcuni ricercatori considerano le stesse variabili socio-demografiche, misure attendibili di fondamentalismo, in particolare: l’educazione e l’età. Concludendo, la criticità di questi studi riguarda l’impossibilità nel definire l’esatta incidenza di esse e non la sua rilevanza sul fondamentalismo. La vasta eterogeneità rappresentata da queste variabili rende difficile evidenziare una relazione diretta tra fattori socio-demografici e fondamentalismo. Ad esempio, variabili tipo: la cittadinanza e l’appartenenza geografica, sembrano giocare un effetto indiretto anziché diretto sul fondamentalismo. La stessa variabile genere, che ha una notevole influenza nella comprensione del fenomeno religioso, in letteratura non presenta un ruolo ben definito nel fondamentalismo religioso.
Concludendo, la logica terminologica ha posto in evidenza quanto possa essere interessante e al contempo arduo definire il costrutto del
“fondamentalismo religioso”. Le diverse teorie qui esposte, rappresentano una breve rassegna sociologica e psicologica del fenomeno nel panorama internazionale e italiano, e al contempo tracciano una cornice storica ben precisa nel quale collocare la nascita del fondamentalismo e i suoi relativi sviluppi. Le ormai solide teorie sociologiche sul fondamentalismo hanno messo in risalto la struttura organizzativa che caratterizza i movimenti fondamentalisti, mentre le teorie psicologiche postulate hanno posto l’accento sui processi mentali e gli stili di comportamento che sottendono al fondamentalismo religioso. La militanza, un approccio intratestuale al testo sacro e un’impalcatura cognitiva specifica sono gli elementi che più distinguono il fondamentalismo da altre dimensioni religiose affini.
La logica funzionale dal suo canto, ha dimostrato l’applicabilità dei costrutti psicologici e sociologici presi qui in esame servendosi di dati e ricerche empiriche condotte a sostegno della validità concorrente del costrutto “fondamentalismo religioso”. I correlati del fondamentalismo presi in esame rappresentano solo una parte, la più indicativa nel panorama della ricerca scientifica attuale, dei diversi ambiti in cui il fondamentalismo opera. Numerosi sono gli interrogativi che la ricerca in questo campo non ha ancora reso accessibile alla conoscenza umana. Qual è il reale contributo della componente genetica/biologica nel determinare il fondamentalismo rispetto a quella sociale; è possibile contemplare un fondamentalismo di “stato” e uno di “tratto”; il fondamentalismo ha un’incidenza negativa sulla salute mentale e psichica; essere fondamentalisti è realmente negativo. Questi e altri interrogativi richiedono nuovi approfondimenti e ricerche. (L. Carlucci)
Riferimenti bibliografici
Altemeyer, B., & Hunsberger, B. (1992). Authoritarianism, religious fundamentalism, Quest, and prejudice. The International Journal for
the Psychology of Religion, 2(2), 113-133.
Altemeyer, B. (1996). The authoritarian specter. Cambridge, MA: Harvard University Press.
Hill, P.C., & Pargament, K. I. (2003). Advances in the conceptualization and measurement of religion and spirituality: Implications for
physical and mental health research. American Psychologist, 58 (1), 64-74.
Saroglou, V. (2002a). Religion and the five factors of personality: A meta-analytic review. Personality and Individual Differences, 32, 15–25.
Saroglou, V. (2002b). Beyond dogmatism: The need for closure as related to religion. Mental Health, Religion, and Culture, 5, 183-194.
Sethi, S., & Seligman, M. E. P. (1993). Optimism and fundamentalism. Psychological Science, 4, 256 –259.
Seybold, K. S., & Hill, P. C. (2001). The role of religion and spirituality in mental and physical health. Current Directions in Psychological Science, 10, 21–24.
Stifoss-Hanssen, H. (1994). Rigid religiosity and mental health: An empirical study. In L. B. Brown (Ed.), Religion, personality and mental health (pp. 138-143). New York: Springer-Verlag.