Per una lettura psicologica del fondamentalismo religioso (1)
Introduzione
Il termine fondamentalismo religioso, nell’ultimo decennio, è entrato a far parte del nostro vocabolario quotidiano attirando l’attenzione di giornali, riviste e televisioni di tutto il mondo. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11/09/2001, il massacro di massa al campo dei Workers’ Youth League (AUF) del partito laburista del 2011, il termine fondamentalismo è stato usato estensivamente in maniera incorretta per etichettare fenomeni socioculturali affini quali: terrorismo, integralismo ed estremismo. Il fondamentalismo religioso pertanto, è diventato l’oggetto d’interesse non solo di accademici e studiosi, ma anche di qualsiasi cittadino sensibile alle vicende storico-sociali contemporanee, conducendo inevitabilmente alla diffusione di definizioni erronee e/o incorrette del fenomeno. Al fine di fornire una panoramica sul significato del fenomeno del fondamentalismo, è indispensabile lavorare su due piani: il primo rappresenta la componente semantica (detta logica terminologica) e ha come obiettivo quello di tracciare un quadro terminologico del termine; il secondo piano rappresenta la componente operazionale (detta logica funzionale) e ha come obiettivo quello di delineare la validità e l’applicabilità del termine fondamentalismo religioso.
La logica terminologica
Da un punto di vista semantico, la parola fondamentalismo, come tutte le altre parole che terminano per “–ismi/o”, è etichettata in termini negativi nello scenario sociale e nell’immaginario mentale individuale. Per comprendere al meglio il significato della parola fondamentalismo è indispensabile prendere sinteticamente in rassegna le più rilevanti definizioni, sociologiche e psicologiche, sottolineando i diversi sforzi effettuati per descriverne il costrutto.
Il termine fondamentalismo religioso è stato coniato alla fine del XIX secolo in America, con la stampa di una serie di opuscoli, per opera della comunità protestante americana “evangelical”, con l’intento di voler ritornare alle “fondamenta” della fede cristiana (Vergote, 2004). Queste fondamenta rimarcavano l’importante natura divina di Dio e promuovevano un approccio letterale nell’interpretazione della Bibbia. Da un punto di vista socioculturale il nascente movimento fondamentalista, specchio di una parte della società americana conservatrice e progressista teologica, si affermava come movimento contrapposto al modernismo, al dilagante paradigma evoluzionista e a una corrente
di pensiero che applicava il metodo critico-storico per l’interpretazione della Bibbia (Barr, 1977; Sandeen, 1970).
Nel corso degli anni, la definizione di fondamentalismo protestante americana è stata estesa a tutti quei movimenti cristiani e non, i quali possedevano le seguenti caratteristiche fondanti: il rifiuto dell’etos modernista (Martin e Applebly, 1991-1995), la militanza, l’inerranza, il premillenarismo, il revaivalismo, il nazionalismo (Marsden, 1980).
Aldilà della sua connotazione negativa e del tratto anti-modernista, il “fondamentalismo” veniva a costituirsi come un fenomeno universale e trasversale. Universale poiché comunità fondamentaliste potevano essere identificate in tutte le nazioni; trasversale poiché il fenomeno fondamentalista era riscontrabile in una serie di religioni monoteistiche e non, es. Ebraismo, Cattolicesimo, Islamismo, Induismo (Carpenter, 1997). La prima definizione “comprensiva” del termine fondamentalismo, proviene dal panorama sociologico americano del “The Fundamentalism Project” (d’ora in avanti FP). Il FP rappresenta un’indagine accademica mondiale sponsorizzata dall’American Academy of Arts and Sciences, sui diversi movimenti religiosi definiti “fondamentalisti” nel mondo, iniziata dal 1987 e terminata nel 1995 con la pubblicazione di cinque volumi. Il FP concepisce il fondamentalismo sia da un punto di vista ideologico che organizzativo. Da un punto di vista ideologico il fondamentalismo rappresenta una reazione alla marginalizzazione della religione, la difesa degli aspetti della tradizione. Da un punto di vista organizzativo, il fondamentalismo è considerato come un fenomeno circoscritto a un numero limitato di militanti organizzati in maniera gerarchico-autoritaria, dove la differenza tra ingroup e outgroup è ben definita e marcata. I critici del FP hanno evidenziato come tutti i tentativi di fornire una definizione chiara del termine fondamentalismo sono stati difatti controversi.
In quest’ottica, a detta dei critici, il FP rappresenta solo un approccio descrittivo al fondamentalismo viziato dallo stereotipato concetto anti-modernista del fondamentalismo protestante americano (Swatos, 1993; Tamney, 1996). Nonostante le aspre critiche, tre aspetti possono essere realmente presi in considerazione: 1) il fondamentalismo protestante è caratterizzato dall’inerranza delle Sacre Scriture; 2) il fondamentalismo islamico è caratterizzato dalla sovrapposizione tra politica e religione; 3) i fondamentalisti sono sostenitori di una morale rigorosa e puritana, che vedono minacciata dal mondo moderno.
Nel panorama sociologico italiano, Introvigne (2004) evidenzia come, partendo dalla teoria delle nicchie religiose e dai suoi postulati: tensione, strictness e costi, sia possibile formulare un’ipotesi terminologica del fondamentalismo religioso al fine di fornire strumenti metodologici, analoghi a quelli forniti dalla ricerca empirica. Riprendendo il lavoro svolto dagli autori del FP, Introvigne evidenzia come i diversi movimenti fondamentalisti descritti dal FP, fanno riferimento a tre nicchie religiose ben definite, quali: “ultra-strict”, “strict” e “conservatrice”. Queste tre nicchie, unite a quella “ultraprogressista” e “progressista”, costituiscono l’ampio panorama delle organizzazioni religiose. Lo stesso autore, identifica nella nicchia “strict” le organizzazioni fondamentaliste di tipo classico, in cui il rapporto tra religione e cultura è fuso, e le caratteristiche dottrinali sono integrate con quelle sociali e culturali, con un corrispettivo alto di costi e tensioni.
Nella nicchia “ultra-strict” invece sono identificabili i movimenti “ultra-fondamentalisti” (radicali), per i quali sono previsti costi e tensioni altissime, dove il rapporto tra religione e società assume una caratteristica d’identità assoluta. Fin qui ci siamo limitati a descrivere in maniera sommaria la mole di lavori sociologici svolti in questa direzione. Per questioni di spazio abbiamo omesso concettualizzazioni differenti di fondamentalismo religioso come quello “economico o politico”.
Da un punto di vista psicologico, la letteratura scientifica internazionale nel campo della psicologia sociale e della religione identifica due importanti definizioni di fondamentalismo: quella sviluppata da Altemeyer e Hunsberger (1992) e quella
fornita da Hood, Hill e Williamson (2005).
Altemeyer e Hunsberger sono tra i primi psicologi sociali a descrivere il fondamentalismo in termini cognitivi. Essi definiscono il fondamentalismo come un set di credenze religiose, le quali affermano la presenza di un unico metodo d’insegnamenti religiosi che contiene le verità essenziali e basilari circa l’umanità e la divinità e che queste devono essere perseguite nonostante l’opposizione delle forze del male (1992, p. 118). La definizione qui presentata dagli autori, contiene anche un’altra caratteristica importante che il fondamentalismo condivide con l’autoritarismo, ed è il concetto di militanza.
La seconda definizione di fondamentalismo è concettualizzata in termini disposizionali-processuali di tipo “intratestuale” alla lettura del testo sacro. È il testo stesso che determina il modo in cui esso va letto, fornendo una base di attribuzione di significato sugli aspetti del mondo, garantendo ai fedeli strumenti per valutare le cose buone del mondo da quelle cattive, quelle sacre da quelle peccaminose (Williamson e Hood, 2005). Contrariamente alla definizione fornita in precedenza, l’elemento della militanza non costituisce un principio
essenziale alla comprensione del fondamentalismo religioso.
Entrambe le definizioni presentate qui, si prestano adeguatamente a un’indagine scientifico-metodologica e si distinguono per la loro aconfessionalità e applicabilità inter e intra religiosa, poiché prive di contenuti religiosi specifici (content-free). Attualmente, la teoria postulata da Altemeyer e Hunsberger (1992) rappresenta la teoria più accreditata nel panorama scientifico internazionale, ed ha ispirato più di 70 lavori empirici. Nonostante i numerosi tentativi di definire in termini concettuali il fondamentalismo, esso è continuamente confuso con altri termini quali: Dogmatismo, Ortodossia, Integralismo e Integrismo (Hill e Hood, 1999). Nel panorama italiano, il termine
“integrismo” rappresenta il sostantivo di gran lunga più utilizzato in sostituzione alla parola “fondamentalismo”. Il termine di origine francese, impropriamente tradotto dal francese all’italiano come fondamentalismo, è stato originariamente attribuito ai sostenitori più convinti della lotta del Pontefice Pio X contro la corrente teologica detta modernismo (Introvigne, 2004). Le diverse definizioni psicologiche qui prodotte, da un lato evidenziano la necessità di una componente sociale (stato) e dall’altro una componente cognitiva più stabile (tratto) nel definire il fondamentalismo religioso. Pertanto, è possibile affermare con un certo margine di certezza se il fondamentalismo è una questione culturale-sociale o genetica? La risposta a questa domanda non è semplice, e ogni pretenziosa o articolata risposta potrebbe essere
fraintesa o etichettata come riduttiva o speculativa.
In letteratura troviamo diverse ipotesi in merito: 1) nuovi fondamentalisti derivano da genitori fondamentalisti (trasmissione valoriale parentale); 2) l’essere fondamentalisti è il prodotto di una “conversione”; 3) il fondamentalismo ha radici genetiche. Per quanto concerne la prima ipotesi, studi empirici hanno evidenziato come elevati punteggi alla scala di fondamentalismo fornita dai genitori, correlano con quelli dei propri figli. Al contempo, studi evidenziano come non tutti i genitori riescono a trasmettere con successo gli stessi valori religiosi ai propri figli. L’ipotesi della conversione, dal suo canto, riesce a spiegare il perché della fidelizzazione di membri giovani alla religione fondamentalista che non hanno ricevuto un’educazione religiosa in adolescenza. Inoltre, la religione fondamentalista, gioca un effetto compensatorio in giovani adepti con crisi affettive alle spalle, garantendo supporto e sostegno psicologico da parte dei membri del movimento. In ultimo, il matrimonio rappresenta l’evento più indicativo della conversione degli adulti a una religione fondamentalista. Riguardo alla terza ipotesi, studi condotti su gemelli adulti monozigoti e dizigoti evidenziano una larga incidenza (30-50%) della componente genetica sul fondamentalismo. Tuttavia, gran parte degli studi effettuati in questa direzione mostra la presenza di lacune metodologiche: l’uso di strumenti di misura psicometrici non validati, confusione tra costrutti, analisi non ponderate per variabili socio-demografiche importanti come il genere o l’età. (L. Carlucci)
Riferimenti bibliografici
Altemeyer, B., & Hunsberger, B. (1992). Authoritarianism, religious fundamentalism, Quest, and prejudice. The International Journal for the Psychology of Religion, 2(2), 113-133.
Barr, J. (1977). Fundamentalism. London: SCM Press.
Carpenter, J. A., (1997). Revive US Again: The Reawakening of American Protestantism. New York: Oxford University Press.
Hill, P. C., & Hood, R. W., Jr. (1999). Measures of religiosity. Birmingham, AL: Religious Education Press.
Hood Jr, R. W., Hill, P. C., & Williamson, W. P. (2005). The psychology of religious fundamentalism. New York: Guilford.
Introvigne, M (2004). Fondamentalismo. I diversi volti dell’ingerenza umana. Casale Monferrato, AL: Piemme.
Marsden, G. M., (1980). Fundamentalism and American Culture: The Shaping of Twentieth-Century Evangelicalism 1870-1925. New York: Oxford Unversity Press.
Marty, M. E., Appleby.R. (Eds., 1991-1995). The Fundamentalism Project. Chicago: University of Chicago Press.
Sandeen, E. R., (1970). The Roots of Fundamentalism: British and American Millenarianism, 1800–1930. Chicago: University of Chicago Press.
Swatos, W. H., (1993). Fundamentalism in the Islamic World. Review of Religious Research, 35 (1), 66-68.
Tamney, J. B., (1996). Accounting for South Asian Fundamentalism. Review of Religious research, 37(4), 368-369.
Vergote, A., (2004). Il fondamentalismo. Posizioni teologiche o filosofiche e motivazioni psicologiche . In M. Aletti & G. Rossi (Eds.). Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismo (pp. 3-15). Torino: Centro Scientifico Editore.