L’anthropologie théologique à la lumière de la psychanalise (Lecuit)
di Mario Aletti. Jean-Baptiste Lecuit. L’anthropologie théologique à la lumière de la psychanalyse. La contribution majeure d’Antoine Vergote. (“Cogitatio Fidei”) Paris: Les Éditions du Cerf, 2007, pp. 678.
In quest’opera, esito maturo di un lungo impegno per la tesi di dottorato in Teologia, Jean-Baptiste Lecuit valorizza il contributo di Vergote all’elaborazione teologica, pur senza indulgere a tentativi di piegare e ricollocare i contenuti della psicoanalisi nel disegno architettonico di una antropologia teologica già pre-costituita. Già questa attenzione mostra l’adesione dell’autore alla prospettiva epistemologica dello stesso Vergote, che tenacemente sostiene che la psicologia sarà tanto più utile alla teologia, quanto più sarà fedele ai suoi propri principi e metodi, nel cercare la verità psicologica sull’uomo; verità che, per ogni credente come per il teologo, non potrà risultare in contraddizione con la verità sull’uomo rivelata da Dio. L’apporto di Vergote alla teologia consiste principalmente nella ricerca dell’intelligenza della fede sostenuta da un’antropologia filosofica e teologica, illuminate dall’esperienza psicoanalitica: “à la lumière de la psychanalyse” appunto, secondo una precisazione frequente nei titoli di pubblicazioni dello stesso Vergote. Nella misura in cui la psicoanalisi illumina le strutture e processi profondi della personalità, il teologo può dedurne conoscenze, suggestioni, “lumi” per meglio costruire un’antropologia che sia sempre più fedele all’uomo reale.
L’autore ha lavorato, con l’attenzione ai dettagli e l’acribia del filologo, su tutto il corpus delle opere di Vergote (oltre 300 pubblicazioni, nell’arco di cinquant’anni). Ma qui propone una vasta ed articolata sintesi creativa che, con una lettura in qualche modo trasversale, rintraccia, nel pensiero di Vergote, tre grandi assi o processi, ciascuno dei quali collega un polo psicoanalitico e un polo teologico. Nella prima parte “Dal corpo libidinale al corpo della risurrezione” è sviluppata la questione dell’unità complessa e del destino dell’essere umano, tra la realtà psichica inconscia, il corpo e lo spirito. Nella seconda parte “Dall’attaccamento fusionale all’amore-agape” trova sviluppo il tema psicoanalitico dell’emergenza del desiderio e dell’amore. Infine la terza parte “Dal complesso parentale all’intersoggettività teologale” approfondisce il tema della relazione del mistero dell’uomo con il mistero di Dio.
In ognuno degli assi lungo i quali accorpa la riflessione di Vergote, Lecuit, buon conoscitore della psicoanalisi freudiana e postfreudiana, introduce il lettore alla rilevanza della psicoanalisi per la teologia e in particolare lo conduce ad apprezzare la portata innovativa del pensiero di Vergote, anche là dove egli si distanzia criticamente da Freud e da Lacan. Pur nei limiti di una breve recensione, qualche sottolineatura si impone.
Nella prima parte viene rimarcata la formulazione del costrutto di “corpo libidinale” che dà un nuovo senso al concetto di pulsione e di sublimazione. L’autore evidenzia come, per Vergote, che prende le distanze dal dualismo cartesiano e dalle sue ricadute contemporanee, la realtà psichica non è riducibile né al corpo organico, né allo spirito. Il concetto di corpo libidinale indica che fin dall’inizio l’essere umano è governato da un funzionamento inconscio: la “libido”, intesa come tensione verso il piacere e allontanamento dal dispiacere; principio organizzatore originario che funziona ben prima che la ricerca dell’appagamento sia canalizzata nella pulsione sessuale.
Nella seconda parte Lecuit sottolinea che Vergote, pur riprendendo la prospettiva lacaniana sul ruolo del riconoscimento del padre e della castrazione simbolica nella costruzione del soggetto, sostiene che, però, la paternità debba essere considerata come un atto di riconoscimento attraverso una parola di tipo performativo. La sublimazione consiste in una trasformazione della libido, non nella sua negazione: l’inconscio rimosso è preceduto dall’inconscio originario, cioè dal fatto che l’uomo è costitutivamente un soggetto di desiderio; e perciò radicato nella relazione. Ne risulta la possibilità di un’apertura a un desiderio di Dio, e ad una religione, che non origini da una rimozione della libido. Il processo di evoluzione dal desiderio alla sublimazione (che dice permanenza e non opposizione) può offrire al polo teologico una prospettiva di continuità e sviluppo: l’agape si presenta come persistenza ed evoluzione di un eros sublimato; che la orienta e la rinforza, non la limita.
La terza parte si mostra particolarmente creativa ed innovativa nel mettere a frutto la lezione di Vergote. Muove dall’accusa di riduzionismo psicologistico rivolta da Vergote al triplice pensiero di Freud sulla religione: religione come proiezione dell’endopsichico, religione come illusione e nostalgia della protezione paterna, e religione come derivato della storia evoluzionistica dell’umanità. Contrapponendovi, sulla scorta di Lacan e del primo Lévi-Strauss, l’autonomia del mondo simbolico dal mondo della natura, Vergote avrebbe, secondo Lecuit, optato per un antiriduzionismo dualistico, non adeguatamente argomentato ed esposto all’accusa di criptoapologetica. La questione, qui proposta per la religione (come superare il dualismo tra eros e agape senza ricadere nel riduzionismo freudiano secondo il quale Dio sarebbe un prodotto del desiderio e la credenza religiosa una psicomitologia dimentica delle proprie origini?) rimanda ad una dimensione complessiva: come avviene l’ominizzazione dell’individuo e della specie, tra natura e cultura? Qui la posizione di Lecuit si fa interrogante e critica. Egli propone un emergentismo non riduzionista, che, conservandosi lontano dal materialismo riduzionista, si appoggia su una logica dialettica della complessità e dell’autorganizzazione: di fatto, il vettore dinamico di tutti e tre gli “assi” da lui ricostruiti. E’ questo un punto cruciale della rilettura dell’opera di Vergote; che, in effetti, nell’interpretazione dei fenomeni umani, e specificatamente di quelli psichici (si veda il concetto di “corpo libidinale”, di pulsione, di sublimazione), sembra molto vicino ad una posizione emergentista, pur senza farvi esplicito riferimento.
L’apertura del confronto su questo tema è un indice significativo anche a livello metodologico. Vi si palesa la capacità di Lecuit di raccogliere criticamente e creativamente l’eredità del pensiero di Vergote, pur riferendovisi con una fedeltà scrupolosa e con una cura ‘filologica’ in cui traspare l’ammirazione e quasi la devozione al Maestro.
L’autore governa bene il suo immenso materiale, trasferendolo in una sintesi coerente che, nonostante qualche ridondanza e ripetizione, è chiara e stimolante, e quasi sempre convincente. In altre parole, si tratta di un’opera organica e ricchissima di note esplicative e di documentazione (tra cui, per la prima volta, l’elenco completo delle pubblicazioni di Vergote) ma, allo stesso tempo, di un invito ad un confronto critico, non solo con gli scritti di Vergote, ma con la sua epistemologia, con i suoi percorsi, con le sue interpretazioni. Un’opera, in conclusione, da cui non potrà prescindere chi voglia accostare la riflessione psicanalitica ed antropologica di Vergote, ma destinata anche a fornire strumenti di lavoro di rilievo per chi voglia contribuire ad una antropologia teologica “alla luce della psicanalisi”. (M. Aletti)